A differenza degli altri tipi di inquinamento, quello acustico presenta caratteristiche particolarmente più incidenti sulla psiche umana. Il tratto più psicologico che fisico o chimico, fanno dell’inquinamento acustico oggetto di una particolare disciplina che cerca di proteggere gli individui da fenomeni che possono trasformare la tranquillità della loro vita.
È qui che entra in gioco la normativa di riferimento, alla quale è necessario prestare molta attenzione anche alla luce della recente giurisprudenza.
L’argomento risulta talmente delicato da aver previsto anche una tutela penalistica ex art. 659 c.p..
La tutela penalistica ha un ambito più limitato e specifico riferibile all’inquinamento acustico, tanto da sanzionare il disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, compresi spettacoli, incontri, intrattenimenti pubblici, arrecato con schiamazzi e rumori. Non sono esenti da sanzioni anche i professionisti o gli operai che arrecano disturbo in violazione delle prescrizioni normative e amministrative. Ove non è possibile rinvenire una norma specifica, si fa riferimento alla norma generica più adatta.
In attuazione a questo principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva accolto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale proposta dal proprietario di un appartamento limitrofo a un fondo sul quale veniva effettuata attività di stoccaggio e commercio di carte, cartoni, vetro e plastica, desumendo la ricorrenza del pregiudizio dalla circostanza che le immissioni interessavano la quasi totalità dei vani dell’appartamento dell’attore ed erano percepibili anche nei giorni festivi, nelle ore serali, ed anche con gli infissi chiusi.
In tal caso, le norme richiamate sono state molteplici. Oltre all’art. 8 CEDU annoverato, il principio enunciato risponde a quanto statuito dagli articoli: 2, 29, 32, 42 della Costituzione Italiana; 844 che prevede la violazione del divieto di immissioni sonore, 2043 che prevede il risarcimento per fatto illecito come conseguente tutela aquiliana della proprietà e 2059 per i danni non patrimoniali che sottolineano il carattere psicologico dell’inquinamento acustico del codice civile.
L’iter decisionale della Corte non si è basato soltanto sulla normativa di riferimento, ma certamente anche su quanto fino a quel momento deciso in un’altra pronuncia del 2018, la quale era stata adepta a descrivere determinate altre caratteristiche dell’inquinamento acustico.
Riprendendo quella pronuncia, in questa sede occorre ricordare che il c.d. “rumore” si distingue in rumore ambientale, rumore residuo e rumore di fondo.
- Il rumore ambientale è quello prodotto da tutte le sorgenti di rumore esistenti in un dato luogo e durante un determinato tempo, si tratta dell’insieme del rumore residuo e da quello prodotto dalle specifiche sorgenti disturbanti;
- Il rumore residuo è quello che si rileva quando si escludono le specifiche sorgenti disturbanti;
- Il rumore di fondo è la fascia rumorosa costante nella quale si verificano le immissioni ritenute moleste (come emerso da altra pronuncia della Corte Cass. 17 febbraio 2014 n. 3714).
Il tutto deve essere sempre preso in considerazione relativamente ai “limiti differenziali”, così da ottenere una corretta misurazione. Questi si distinguono in: limiti assoluti, limiti differenziali e Leq.
Il Leq è il livello equivalente, ossia il parametro indicatore della immissione di rumore nelle abitazioni e nell’ambiente esterno. Si tratta di un valore medio, inidoneo a valutare la sorgente disturbante.
Il limite assoluto riguarda i limiti massimi stabiliti per legge in base alla zona; mentre per limite differenziale si intende la differenza tra il rumore di fondo e la sorgente disturbante, mutevole a seconda che ci si trovi di giorno o di notte.
Quel che è certo è che si può ottenere risarcimento danni e che l’inquinamento acustico influisce facilmente sulla psiche e risponde anche al risarcimento ex art. 2059 c.c.