Il diritto al riconoscimento dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro è ormai definitivamente conclamato, anche alla luce delle più recenti pronunce della Corte di Giustizia Europea (da ultimo, sentenza 18/01/2024 C-218/22 e provvedimento 24/07/24 C-689/22), che hanno chiarito tutti gli aspetti essenziali di questa tematica.
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Il Diritto di accesso agli atti: come richiedere le ferie non godute
Nel corso degli ultimi anni la giurisprudenza europea ha fatto chiarezza, seguita da quella di Cassazione che è andata mutando il proprio originario orientamento. Sono state definite non soltanto le condizioni che devono necessariamente sussistere per poter reclamare l’indennità, con il relativo termine di prescrizione dell’azione, ma anche il regime probatorio posto a carico delle parti e, per quanto qui interessa, quello dell’ex dipendente.
In poche parole, si è voluto espressamente delineare quale sia la prova richiesta al lavoratore che, una volta concluso il suo rapporto con il datore, voglia invocare il pagamento dei giorni di ferie annuali retribuite non potute godere durante il corso del lavoro.
L’ex dipendente sarà quindi tenuto a dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro, la sua conclusione e, soprattutto, la circostanza di aver maturato giorni di ferie dei quali non ha potuto godere, indicandone il quantitativo, oltre a fornire la dimostrazione dell’ammontare della retribuzione percepita, utile ai fini della valorizzazione dell’indennità sostitutiva dovuta dal datore.
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Può però accadere, anche a causa del lungo tempo trascorso dal termine del rapporto (ricordiamo, che la prescrizione è addirittura decennale), di non essere più in possesso della documentazione comprovante il periodo di riposo annuale non goduto durante il rapporto di lavoro.
La soluzione in questi casi la fornisce direttamente l’ordinamento, concedendo la possibilità al soggetto interessato di procedere, autonomamente o con l’assistenza di un legale incaricato, alla presentazione di una richiesta direttamente all’Azienda sanitaria pubblica per accedere agli atti amministrativi, ottenendo una copia di quanto mancante.
La Pubblica Amministrazione è destinataria di un obbligo di trasparenza nei confronti dei cittadini, ed a maggior ragione nei riguardi dei suoi dipendenti, dovendo favorire la circolazione e la diffusione delle informazioni in suo possesso, garantendo la conoscenza degli atti e dei documenti amministrativi nel rispetto dei precetti imposti dalla l. n. 241/1990.
Il diritto di accesso consiste nella facoltà, riconosciuta a chiunque sia portatore di un interesse diretto, concreto ed attuale, di visionare il contenuto di un determinato documento amministrativo e di trarne copia per farne un uso motivato (ad es. tutelare i propri diritti in sede giudiziaria).
Documentazione necessaria per la richiesta: cosa deve includere l’istanza di accesso
Nel testo dell’istanza, l’interessato dovrà dunque indicare:
- le generalità del richiedente, comprensiva di recapiti anche digitali;
- la qualifica ricoperta, con eventuale segnalazione del numero di matricola
- la data di cessazione del rapporto di lavoro
- il documento o i documenti oggetto della richiesta;
- la motivazione della richiesta;
- le modalità di esercizio del diritto d’accesso (visione, ritiro di copia, ritiro di copia autenticata);
- la data e la sottoscrizione.
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Di regola, l’accesso agli atti presuppone un termine di 30 giorni, concesso alla Pubblica Amministrazione dalla ricezione dell’istanza, per poter rispondere.
Nel caso di mancato riscontro, questo atteggiamento dovrà essere considerato quale rigetto in virtù del c.d. silenzio-rigetto, con conseguente possibilità di attivarsi giudizialmente per la relativa impugnativa nel termine previsto dalla disciplina amministrativa.