Spiagge e litorali italiani rappresentano aree importantissime perché ricche di
biodiversità ma, soprattutto d’estate, si ritrovano sotto una forte pressione antropica.
L’ultimo report che attesta lo stato di salute delle nostre coste realizzato dal WWF
‘Coste, il profilo fragile dell’Italia’ parla chiaro: “il 51% dei paesaggi costieri è stato trasformato e degradato da case, alberghi, palazzi, porti e industrie” e “appena 1.860 km (il 23%) di tratti lineari di costa più lunghi di 5 km nel nostro Paese, isole comprese, possono essere considerati con un buon grado di naturalità”.
Così le nostre coste, ambienti chiave perché di transizione tra la terraferma e il mare, nell’ultimo secolo e mezzo sono state compromesse drammaticamente dalla mano dell’uomo che con l’espansione urbana, la costruzione di nuove strutture turistiche,
deforestazione e
rasatura delle dune ha contribuito e continua a contribuire pesantemente alla loro
erosione e
distruzione.
Ad oggi, come riporta inoltre il dossier del WWF, su circa
7.500 km di costa, solo
700 km sono tutelati perché facenti parte delle
29 aree marine protette (AMP) identificate fino ad ora. Queste aree, insieme ai
2 parchi sommersi sono però troppo poche e troppo piccole: “Al 2019, considerando sia AMP sia siti Natura 2000 a mare, solo il
4,53% delle acque territoriali italiane era
protetto, di cui l’1,67% con un piano di gestione implementato e appena lo 0,01% soggetto a protezione integrale”, scrive infatti l’organizzazione.
Accanto alla mancata protezione e salvaguardia di specie e ambienti, cambiamento climatico,
inquinamento da plastica e pesca intensiva sono solo alcuni dei fattori che contribuiscono al deterioramento degli ecosistemi marini.
L’impatto dell’uomo, infatti, si fa sentire anche con le feste e i
mega eventi che in estate vengono organizzati sulle spiagge, e che vanno a compromettere ulteriormente la salute dei litorali
disturbando la fauna selvatica che vi abita e contribuendo all’inquinamento delle acque.
Il caso del Jova Beach Party
Da luglio a settembre, per una dozzina di tappe che raccolgono
dalle 20mila alle 70mila persone ognuna per dodici ore di musica no stop. Con il suo ‘
beach party’ Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, si è ritrovato, di nuovo dopo il primo tour 2019, al centro di una “
polemica ambientalista” che, se non a fermare gli eventi in programma, potrebbe almeno aiutare a rimettere al centro del dibattito pubblico
l’importanza e la
salvaguardia delle preziose spiagge italiane.
Sono molteplici gli aspetti contestati al tour di Jova dagli “
influencer green” - come molti giovani attivisti ambientalisti vengono definiti a seguito della popolarità acquisita sui social – ma anche da
associazioni ambientaliste,
animaliste e
comitati cittadini.
Al progetto viene contestato in primis proprio la sua natura di “
amico dell’ambiente”. Come più spesso ribadito dall’artista infatti, il suo obiettivo è quello di unire musica, cultura e natura con lo scopo di
sensibilizzare i più giovani e
migliorare i luoghi che attraversa, mentre per molti si tratterebbe solo di “
green washing”, neologismo inglese traducibile come “ecologismo di facciata” secondo cui la reputazione ambientale associata a un dato progetto o attività non è supportata da reali e credibili miglioramenti dei processi produttivi adottati o dei prodotti realizzati.
Tra le critiche più severe di ogni forma di capitalismo verde e logica consumistica divenute note sui social, Cristina Coto in un video su Instagram raccoglie quelli che sembrano essere soluzioni poco sostenibili adottate durante i concerti: dall’
acqua in lattina al costo di due euro “per prevenire l’inquinamento da plastica senza però tenere conto che l’alluminio per essere fuso e quindi riciclato necessita di temperature altissime rispetto alla plastica”, agli
sponsor “poco green” e che anzi contribuiscono alla crisi climatica con investimenti nelle fonti fossili e produzione di carne, fino
all’inquinamento acustico e luminoso e al
taglio di alberi.
Ma dalla parte degli influencer green si scherano anche numerosi esperti come il geologo
Mario Tozzi, che in una lettera aperta al cantante e pubblicata su La Stampa, ha affermato l’insostenibilità del progetto riconoscendo nella massiccia presenza umana sulle spiagge la principale minaccia: «Ogni bagnante che passa una giornata al mare porta via con sé, volente o nolente,
dai 50 ai 100 grammi di spiaggia. (…) Moltiplica questa cifra per le tue 10mila o 50mila persone e vedi a che montagna di sabbia si arriva, senza contare che si balla e ci si agita aggiungendo
erosione ad erosione», scrive il divulgatore che prosegue ricordando i danni provocati dalle
ruspe e dall’istallazione dei
palchi.
A questo si uniscono le
critiche mosse dalle comunità dei luoghi scelti: dal Gruppo Fratino Vasto e Soa che esprime preoccupazione circa l’impatto sulla vita del “tipico” uccello che ha già visto ridotta del 50% la sua presenza nella zona abruzzese, al WWF locale di Fermo che si oppone alla linea intrapresa dal WWF nazionale, sostenitore del JBP2022, e chiude i battenti in segno di protesta contro il grande evento che già nel 2019 aveva visto “completamente spazzata via la vegetazione dunale”. Fino ai Giovani Europeisti Verdi della Toscana che chiedevano di spostare il concerto altrove per proteggere le piante pioniere che sono tornate ad insediarsi sulla spiaggia del Muraglione.
“Restiamo senza parole al cospetto delle immagini dilaganti di spiagge prese d'assalto da decine di migliaia di persone durante i grandi eventi musicali estivi. Nonostante i
ripetuti e condivisi appelli, è giunto il momento di chiedere il divieto di organizzare tali manifestazioni che hanno un evidente
impatto sull'equilibrio degli ecosistemi, causando gravi danni a carico di diverse specie selvatiche e, in generale, all'ambiente marino” scrivono le associazioni ambientaliste e animaliste
ENPA,
Lav,
Marevivo Onlus e
Sea Shepherd Italia che lo scorso 2 agosto hanno lanciato la petizione
“No ai grandi eventi su spiagge e siti naturali” firmata già da oltre 47mila persone.
La risposta di Jovanotti
La risposta del cantante non si è fatta attendere: “Tutto è stato fatto bene in
collaborazione con WWF (io non ho competenze specifiche, loro ne hanno), anzi ancora meglio. Abbiamo tutti i permessi delle autorità competenti, locali, regionali e nazionali”, ha dichiarato Jovanotti che come molti dei sindaci coinvolti ha più volte ribadito che le aree del concerti non sono né riserva, né Sito di interesse comunitario, ma aree demaniali che l’estate vedono la presenza di migliaia di bagnanti.
Oltre ad aver avuto il
supporto da parte del WWF Italia – che specifica come la collaborazione con l’organizzazione voglia “favorire la trasformazione di un evento che comunque si sarebbe tenuto al fine di ridurne al massimo gli impatti” - Jova ha dalla sua anche il primo cittadino di Roccella Ionica, piccolo comune calabrese che ha ospitato il Jova Beach Party il 12 e 13 agosto. “La spiaggia, come aveva garantito l’organizzazione del concerto, è tornata alla libera fruizione più pulita di come era prima. L’idea di fare una festa con 30.000 persone sul litorale è tecnicamente e amministrativamente possibile e non contrasta con nessuna delle norme che regolano l’uso dell’arenile nel nostro Paese”, ha garantito il sindaco che aggiunge: “È fuori di dubbio che il JBP2022 porta certamente con sé innegabili e indiscutibili vantaggi per le comunità che lo ospitano, generando un
indotto economico rilevantissimo”.
Come ricordano inoltre gli organizzatori, dalla collaborazione con Intesa Sanpaolo e WWF Italia è nato il progetto Ri-Party-Amo attraverso cui sono stati raccolti già
3 milioni di euro
“che saranno utilizzati per pulire 20 milioni di metri quadri spiagge, laghi, fiumi e fondali e realizzare 6 macro azioni di ripristino degli habitat”.
Consulcesi per l’ambiente
Accanto ai tantissimi giovani che hanno partecipato al
crowfounding online o durante i concerti, dimostrando di voler contribuire alla protezione degli ambienti naturali, una
maggiore attenzione e
consapevolezza è possibile ritrovarle anche nelle molte aziende italiane che come Consulcesi negli anni stanno incrementando il loro impegno per ridurre l’
impatto ambientale delle loro attività.
Come molti imprenditori infatti,
Massimo Tortorella, Fondatore e Presidente di Consulcesi, per favorire il risparmio energetico, ridurre traffico e inquinamento, ha deciso di mantenere la possibilità di poter
lavorare a distanza anche dopo la fine dell’emergenza pandemica.
“Oggi è impensabile mettere in piedi qualunque tipo di attività senza tenere conto dell’impatto di questa sull’ambiente. Tutti abbiamo la responsabilità di fare la nostra parte scegliendo soluzioni compatibili con l’imminente e improrogabile bisogno di contrastare la crisi climatica”, continua Tortorella.
Tra le varie soluzioni adottate da Consulcesi si va da quelle piccole, sebbene solo all’apparenza, come
sostituire la plastica presente negli uffici con prodotti eco-friendly, favorire la
raccolta differenziata e
ridurre i consumi energetici, fino all’incremento dei servizi fruibili a distanza come i
corsi ECM, la
consulenza e l’assistenza legale per medici e professionisti sanitari.
“La
tecnologia, quando applicata efficientemente al mondo della sanità, permette di
ridurre costi e tempi ma anche e soprattutto l’
impatto sull’ambiente, permettendo per esempio di assistere i pazienti a distanza e svolgere incontri e formazione senza la necessità di spostarsi”, aggiunge Tortorella che conclude: “le realtà lavorative possono e devono dare l’esempio aprendo la strada del cambiamento. Quanto noi di Consulcesi abbiamo e stiamo facendo per ridurre il nostro
footprint non è certamente sufficiente ma è un inizio e non ci fermeremo qui, sicuri di poter contare sulla sensibilità e sul sostegno della nostra squadra”.