Accanto ad ogni persona affetta dalla malattia di Parkinson ce n’è almeno un’altra che se ne prenda cura: il caregiver. Tuttavia, anche chi cura ha bisogno di essere ‘curato’, ma non sempre se ne rende conto. Il carico di una malattia vissuta indirettamente può avere, infatti, delle conseguenze sia fisiche che psichiche di diversa gravità. A livello fisico possono subentrare delle complicanze che derivano dall’accudimento pratico di una persona allettata, da dover sollevare o spostare. A livello psichico, senso di solitudine, depressione, sono tra i disturbi più diffusi. “La pronuncia della diagnosi di malattia di Parkinson sconvolge la vita del paziente e, allo stesso momento, anche quella della persona candidata ad assisterlo”, spiega in una video intervista Emi Bondi, Direttore del Dipartimento DSMT dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo e Presidente uscente della Società Italiana Psichiatria.
Le fatiche psico-fisiche del caregiver
Per questo è necessario che il medico che si prende cura della persona con Parkinson presti attenzione anche a chi gli è accanto, durante le visite e nella quotidianità. “Assistere un malato di Parkinson è impegnativo sia da un punto di vista fisico, per una progressiva riduzione della mobilità, sia psicologico per l’impegnativa organizzazione della routine e la somministrazione di terapie. La vita del caregiver diventa talmente simile a quella del paziente da perdere, man mano, spazi di socializzazione e di libertà, fino a ritrovarsi in una condizione di solitudine”, spiega la dottoressa Bondi.
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Per questo è bene che il medico rivolga anche al caregiver delle particolari attenzioni, chiedendogli ad esempio “se dorme regolarmente, se è sereno, se ha dei momenti di irritabilità, di nervosismo, se si sente più stanco del solito”, suggerisce la specialista. È molto importante far capire al caregiver che la cura prestata non deve essere totalizzante, “bisogna anche farsi aiutare, diversificare l'assistenza per mantenere degli spazi di autonomia nei quali recuperare le energie”, aggiunge la dottoressa Bondi. Questo perché il rischio che chi assiste un malato si ammali a sua volta è sempre dietro l’angolo.