Negli ultimi mesi si sono registrati alcuni interventi della Corte dei Conti che, tramite le sue sezioni regionali, ha inteso tracciare alcune importanti – e vorremmo dire innovative - linee di indirizzo circa l’applicazione delle regole previste dall’art. 5, comma 8, del D.L. 95/2012 alla luce dell’ultimo pronunciamento, reso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 18/01/2024 (causa C-218/22), in tema di monetizzazione delle ferie non godute nel pubblico impiego privatizzato.
Da più parti, amministrazioni regionali e locali hanno infatti sentito l’esigenza di interpellare gli organi contabili circa l’atteggiamento da seguire rispetto alle richieste economiche provenienti da quei dipendenti che, proprio in forza dell’ultima sentenza comunitaria, hanno reclamato il pagamento dell’indennità, sostenendone la legittima pretesa anche in caso di risoluzione volontaria del rapporto di lavoro.
Le richieste di parere delle amministrazioni territoriali
Avendo registrato una sostanziale rilettura della citata norma contenuta nell’ordinamento italiano, considerata addirittura ostativa dei principi regolatori dell’Unione laddove, per ragioni organizzative e di contenimento della spesa pubblica, stabilisca il divieto di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell’ultimo anno di impiego sia negli anni precedenti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, si è quindi richiesto ad alcune sezioni regionali della Corte dei Conti di esprimersi circa il diritto del lavoratore ad ottenere il compenso sostitutivo delle ferie arretrate e non dovute, anche quando la cessazione del rapporto di lavoro sia riconducibile ad una scelta o ad un comportamento del lavoratore (ad es. dimissioni, risoluzione) o ad eventi che consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie (ad es. mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età).
Il parere dell’ARAN sull’azzeramento automatico delle ferie non godute
C’è da dire che, all’indomani della pubblicazione della sentenza della CGUE, già l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN), era intervenuta sul tema, fornendo alcuni chiarimenti, soprattutto con riferimento ad alcune pressi amministrative, invitando gli organi preposti a vigilare sulla effettiva fruizione delle ferie da parte dei lavoratori e, di conseguenza, sul rispetto dei termini temporali previsti.
In quel contesto si è espressamente censurato quel fenomeno di “azzeramento automatico”, spesso utilizzato dall’uffici amministrativi, richiedendo loro di esercitare, con tutta la diligenza possibile, sempre e comunque quei poteri necessari affinchè il lavoratore sia messo concretamente in condizioni di godere del periodo di riposo retribuito, non potendosi limitare ad annullarle per il solo fatto che le ferie non siano state fruite nel rispetto dei tempi contrattuali.
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Il parere della Corte dei Conti Regione Toscana
Di rilievo le considerazioni recentemente espresse dall’organo contabile della Regione Toscana (Deliberazione n. 129/2024/PAR) che, dopo aver individuato, nell’art. 5, comma 8, del D.L. 95/12, una sorta di divieto assoluto di corresponsione di trattamenti economici sostitutivi (cd. monetizzazione delle ferie) in caso di mancato godimento delle ferie da parte dei dipendenti pubblici, ha voluto precisare come l’interpretazione della norma dovrebbe, in ogni caso, allinearsi ai principi dettati dalla Costituzione e alle fonti internazionali ed europee a tutela del lavoro.
C’è però da dire che questa soluzione ha portato, purtroppo ancora oggi, a due distinte interpretazioni: da un lato, il superamento del divieto tutte le volte in cui il mancato godimento non sia dovuto a causa imputabile al lavoratore (morte, malattia, infermità ecc…) e, dall’altro, il mantenimento del divieto allorchè, invece, la cessazione del rapporto di lavoro discenda da una scelta o da un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione, mobilità, pensionamento per raggiungimento dei limiti di età), che gli avrebbe consentito una preventiva pianificazione del periodo di riposo residuato.
Che questo sia stato l’orientamento generale, risulta anche dalla circolare del Dipartimento della funzione pubblica che, proprio con la nota n. 40033/2012, ebbe a scrivere che “le cessazioni del rapporto di lavoro determinatesi a seguito di un periodo di malattia, di dispensa dal servizio o, a maggior ragione di decesso del dipendente, configurano, invece, vicende estintive del rapporto di lavoro dovute ad eventi indipendenti dalla volontà del lavoratore e dalla capacità organizzativa del datore di lavoro. In base al sopra descritto ragionamento non sembrerebbe, pertanto, rispondente alla ratio del divieto previsto dall'articolo 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012 includervi tali casi di cessazione, poiché ciò comporterebbe una preclusione ingiustificata e irragionevole per il lavoratore, il cui diritto alle ferie maturate e non godute per ragioni di salute, ancorché già in precedenza rinviate per ragioni di servizio, resta integro con riguardo alla duplice finalità di consentire al lavoratore di riposarsi rispetto all'esecuzione dei compiti attribuitigli in forza del suo contratto di lavoro e di beneficiare di un periodo di distensione e ricreazione”.
A fronte di una giurisprudenza amministrativa che, seppur con cautela, si è andata invece uniformando alle indicazioni provenienti soprattutto dall’Unione, la Sezione Toscana della Corte dei Conti ha rimarcato come l’ultimo intervento della CGUE (già citata sentenza del 18 gennaio 2024) risulti oltremodo estensivo dei precedenti enunciati, riducendo ancor più significativamente l’ambito applicazione del divieto sancito dall’art. 5, comma 8 del d.l. n. 95/2012.
Menzionando alcuni passi di rilievo di questa pronuncia, si è quindi giunti ad affermare che, nel bilanciamento fra gli opposti interessi, ciò che rileva non è la causa della cessazione del rapporto di lavoro, quanto piuttosto la prova, tutta a carico dell’amministrazione pubblica, del fatto che il dipendente sia stato messo effettivamente in condizioni di esercitare il suo legittimo diritto alle ferie retribuite durante gli anni lavoro trascorsi.
Il monito della Corte dei Conti Regione Toscana
Di assoluto rilievo, allora, il precipitato enunciato dalla Corte per cui – come si legge - al dipendente che non abbia usufruito delle ferie spetta sempre la “monetizzazione” delle stesse ad eccezione della circostanza, in cui sia lo stesso dipendente ad aver deliberatamente scelto di non usufruirne pur avendone la possibilità.
Chiaro monito allora alle Aziende che, in vista della prova rigorosa posta a loro carico, dovranno ulteriormente incrementare i processi di responsabilizzazione dei loro dirigenti che, come suggerito dalla Corte, potrebbero essere impegnati a predisporre annualmente un idoneo piano ferie che consenta realmente al dipendente la fruizione delle ferie annuali retribuite.
Le “incomprensibili” resistenze degli Uffici amministrativi
Davanti a questo scenario che, usando le espressioni contenute nella commentata delibera, vedono sempre più ridotte la possibilità per le amministrazioni pubbliche di invocare il divieto di monetizzazione delle ferie non godute, si deve purtroppo registrare qualche incomprensibile resistenza degli organi amministrativi di alcune aziende sanitarie che, davanti alle legittime pretese di pagamento di indennizzo inoltrate dai loro ex dirigenti medici, ancora in questi giorni persistono nell’opporre che il D.L 95/2012, convertito in Legge 135/2012, prevede che le ferie non godute del dipendente pubblico non sono in nessun caso monetizzabili, senza neppure premurarsi di adeguarsi all’interpretazione ormai consolidata a tutti i livelli giudiziali.