Fatti salvi i dovuti approfondimenti, che per ciascuna situazione personale si impongono per giungere a risposta legale coerente con il caso concreto, si possono comunque approcciare alcune considerazioni critiche rispetto al contenuto di alcuni dinieghi nelle cause di ferie non godute, che le amministrazioni sanitarie inoltrano ai propri ex dipendenti per giustificare il mancato riconoscimento di indennizzi economici per le ferie non godute durante il servizio.
Senza alcuna pretesa di esaustività, né tantomeno di completezza rispetto alle molteplici casistiche che quotidianamente Consulcesi deve affrontare su impulso dei professionisti sanitari che le rivolgono continue richieste di consulenza ed assistenza, si è voluto fornire un breve resoconto delle risposte più comuni, con lo scopo di fornire al mondo del pubblico impiego un primo strumento utile a sostenere le proprie ragioni.
Il dipendente non deve provare i motivi della mancata fruizione delle ferie
A fronte della pretesa del sanitario che, terminato il proprio rapporto di lavoro con l’azienda, invocava il pagamento della compensazione economica, si è spesso registrato un diniego motivato sul presupposto che: “Le ferie non godute sono monetizzabili soltanto nei casi in cui l’impossibilità di fruire delle ferie non è imputabile o riconducibile al lavoratore, come nelle ipotesi di decesso del lavoratore, malattia, infortunio, risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità fisica permanente ed assoluta”.
Questa affermazione, prima ancora che generica, è agevolmente contestabile in quanto stravolge i principi stessi su cui si fonda il diritto alla monetizzazione delle ferie non godute nel pubblico impiego (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 29844/2022).
E infatti l’azienda sanitaria che, per poter essere esonerata dal pagamento dell’indennizzo, è tenuta ad assicurarsi, concretamente ed in piena trasparenza, che il dipendente sia stato posto effettivamente nelle migliori condizioni possibili per poter fruire del previsto periodo di ferie annuali retribuite, invitandolo – se necessario formalmente – a farlo e nel contempo informandolo in modo accurato ed in tempo utile del fatto che, qualora non ne abbia fruito, i giorni di ferie non goduti potranno andare persi alla cessazione del rapporto di lavoro.
L’accertamento delle responsabilità inerenti l’effettivo godimento delle ferie annuali risulta, pertanto, spostato dal piano sostanziale dell’eventuale sussistenza o meno delle ragioni organizzative, che avrebbero impedito la regolare fruizione delle ferie, a quello (altrettanto fattuale) del datore di adottare le misure organizzative più idonee a consentire il ricorso al periodo di riposo ed a quello formale, relativo all’adempimento, sempre a carico dell’Azienda, degli obblighi di invito ed informazione.
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La prescrizione del diritto è decennale dalla cessazione dal servizio
Un’altra obiezione mossa dalle amministrazioni pubbliche alle richieste di monetizzazione concerne il termine di prescrizione che si vorrebbe applicato, per contestare la pretesa monetaria ricevuta dall’ex dipendente, il decorso del quinquennio, peraltro a far data dalla scadenza del periodo di comporto relativo all’anno a cui fanno riferimento le ferie non godute.
A questa obiezione si può ribattere che la Corte di Cassazione ha acutamente osservato (Cass. Civ. Sez. Lav. 3021/2020) che l’indennità sostitutiva delle ferie non godute possiede natura mista, sia risarcitoria che retributiva, a fronte della quale si deve ritenere prevalente, ai fini della verifica della prescrizione, il carattere risarcitorio, volto a compensare il danno derivante dalla perdita del diritto al riposo, cui va assicurata la più ampia tutela applicando il termine ordinario decennale, mentre la natura retributiva, quale corrispettivo dell'attività lavorativa resa in un periodo che avrebbe dovuto essere retribuito ma non lavorato, assume rilievo allorché ne debba essere valutata l'incidenza sul trattamento di fine rapporto, ai fini del calcolo degli accessori o dell'assoggettamento a contribuzione.
Per quanto concerne il decorso del termine, essendo vietata ogni monetizzazione durante il servizio, lo stesso inizia nel momento in cui viene a cessare il rapporto di lavoro, ciò costituendo il momento in cui insorge il diritto dell’ex dipendente a reclamare l’indennizzo.
Le esigenze di servizio non devono essere provate dal sanitario
Numerosi sono poi gli episodi in cui alcuni sanitari del Comparto, che si sono rivolti alla consulenza legale di Consulcesi, hanno esibito comunicazioni cui le loro ex aziende riscontravano negativamente le loro pretese economiche sostenendo che, seppur il divieto alla monetizzazione delle ferie fosse stato mitigato dalla contrattazione collettiva, occorresse comunque la prova delle esigenze di servizio ostative al godimento per cui, non risultando alcuna preventiva richiesta di ferie del dipendente negate per tali motivi, non avrebbe potuto accedere ad alcun tipo di compensazione.
In questi casi, si può agevolmente replicare che la Corte di Giustizia Europea (sent. 18/01/24 C‑218/22), affrontando questo aspetto in relazione alla disciplina nazionale, ha affermato che l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 non assoggetta il diritto a un’indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali cui aveva diritto alla data in cui detto rapporto è cessato.
Tale diritto discende quindi direttamente dall’applicazione di questa direttiva, avente carattere prevalente su qualsiasi disposizione normativa e contrattuale nazionale, che dovesse diversamente disporre, e non può dipendere da condizioni diverse da quelle che vi sono esplicitamente previste.
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Le dimissioni volontarie non precludono la monetizzazione
Davanti alle ipotesi di risoluzione volontaria del rapporto di lavoro, come ad esempio avviene nei casi di dimissioni o mobilità, le amministrazioni sanitarie rispondono a sostegno del diniego opposto all’ex dipendente che “l’interpretazione dell’art. 5, comma 8, del D.L. n. 95/2012, peraltro richiamando alcuni pareri rilasciati dai dipartimenti ministeriali, esclude la liquidabilità dell’indennità per le ferie non godute tutte le volte in cui la vicenda estintiva del rapporto sia dovuta alla scelta del lavoratore”.
Anche in questo caso, l’affermazione dell’azienda sanitaria può essere validamente contestata ricordando che la Corte di Cassazione ha stabilito (ord. n. 32087/2023) che la perdita dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute alla cessazione del rapporto di lavoro non può essere correlata, come peraltro insegna la giurisprudenza comunitaria, ai motivi che hanno portato alla cessazione del rapporto di lavoro, per cui neppure le dimissioni volontarie possono considerarsi alla stregua di un’automatica rinuncia all'indennità sostitutiva delle ferie, trattandosi di atto volontario posto dalla disciplina (D.L. n. 95 del 2012, art. 5, comma 8) sullo stesso piano delle altre vicende risolutorie del rapporto di lavoro.
Dirigente di struttura complessa: l’autonomia gestionale non impedisce la monetizzazione
Non di rado al dirigente di struttura complessa, che abbia avanzato al termine del rapporto di lavoro la richiesta di monetizzazione delle ferie non potute fruire durante il servizio, viene negata ogni compensazione economica con la seguente motivazione: “Il dirigente di struttura complessa, a differenza degli altri dipendenti, gode di piena autonomia nell’organizzazione dei modi e dei tempi della propria attività, per cui, potendo scegliere a piacimento come e quando godere dei giorni di ferie annuali retribuite, il mancato esercizio di questo diritto porta a ritenere che sia dovuto alla libera scelta di non fruire del previsto riposo, circostanza che esclude l’inadempimento incolpevole dell’azienda e quindi il diritto all’indennizzo”.
Questa obiezione può essere superata, richiamando quei precedenti giurisprudenziali (da ultimo, Cass. Civ. Sez. Lav. n. 9877/2024, secondo i quali l’indennità prevista a compensazione delle ferie arretrate non godute deve essere riconosciuta anche il direttore di struttura complessa, dal momento che il potere di autodeterminazione delle ferie non deve essere inteso in modo assoluto, né libera l’azienda dal suo onere di verifica che lavoratore sia posto effettivamente nelle condizioni di godere del periodo di riposo previsto.