Infermieri aggrediti: l’azienda rischia di pagare il risarcimento

La mancata adozione delle misure di prevenzione comporta il risarcimento per danno per il personale sanitario che subisce l’aggressione, con responsabilità dell’azienda sanitaria.

Sommario

  1. Le aggressioni contro infermieri e operatori sanitari del 2024
  2. Il quadro normativo per tutelare infermieri e sanitari dalle aggressioni
  3. Gli obblighi aziendali: mappatura dei rischi di aggressione del personale sanitario
  4. L’adozione di misure di prevenzione per proteggere infermieri e sanitari dalle aggressioni
  5. Le tutele risarcitorie per infermieri e sanitari vittime di aggressione
  6. L’onere della prova nel caso di aggressione è ripartito tra lavoratore e datore di lavoro
  7. L’infermiere risarcito dopo aver subito un’aggressione in Pronto Soccorso

Ormai ogni giorno si riconcorrono notizie che raccontano di episodi di aggressioni fisiche che il personale infermieristico è costretto a subire nei Pronto Soccorso, od in altre aree sanitarie in cui prestano il loro servizio.

Peraltro, quelle che giungono alla ribalta dei media rappresentano soltanto la punta di un fenomeno che si sta sempre più allargando, ma i riflettori, anche legali, sono spesso rivolti contro gli aggressori, mentre più in ombra risultano le sagome di chi dovrebbe garantire l’incolumità del personale sanitario e nei cui confronti, invece, esistono adeguati strumenti per far valere le proprie ragioni sia in ottica preventiva, richiedendo maggiori sforzi organizzativi, che risarcitoria in caso di verificazione di eventi avversi.

Le aggressioni contro infermieri e operatori sanitari del 2024

Nel 2024 ci sono stati registrati oltre 25 mila gli episodi di aggressione contro operatori sanitari impegnati nel settore pubblico e privato, senza tener conto degli innumerevoli casi che rimangono nascosti e l’altrettanto considerevole numero di situazioni di minacce, insulti ed altre reazioni che mettono a rischio l’integrità psico-fisica dei malcapitati professionisti.

Secondo alcune stime, le vittime sono maggiormente di sesso femminile, mentre le Regioni più esposte al rischio si rintracciano soprattutto al Nord, con percentuali di incremento che, in taluni distretti, supera addirittura la soglia del 20% in più rispetto ai casi registrati nell’anno precedente.

Il quadro normativo per tutelare infermieri e sanitari dalle aggressioni

E’ tale la rilevanza del fenomeno che, anche di recente, il legislatore è dovuto intervenire con una serie di provvedimenti con l’obbiettivo di aumentare gli strumenti di tutela per la categoria dei sanitari, primi fra tutti gli infermieri, inasprendo le pene nei confronti degli aggressori.

Già con l’entrata in vigore della legge n. 113/2020 erano state introdotte alcune rilevanti novità:

  • modifica dell’art. 583-quater del codice penale, con relativo inasprimento delle pene nei casi di violenza contro operatori sanitari per cui, in caso di lesioni gravi, si rischiano da 4 a 10 anni di reclusione, mentre per le lesioni gravissime da 8 a 16 anni.
  • inserimento fra le circostanze aggravanti comuni di reato, che possono condurre ad un aumento fino ad un terzo della pena, il fatto di aver agito, nei delitti commessi con violenza e minaccia, nei confronti di un professionista sanitario nello svolgimento della sua attività.
  • previsione di eventuali altre situazioni, che non possono considerarsi fattispecie di reato, ma che presentano comunque una condotta violenta, ingiuriosa, offensiva e comunque molesta nei confronti del personale sanitario, punibile con una sanzione amministrativa fra 500 e 5.000 euro.
  • sono stati, infine, introdotti obblighi specifici a carico delle strutture sanitarie per inserire nei propri piani per la sicurezza sul lavoro protocolli operativo con le forze dell’Ordine per garantire interventi tempestivi.

Successivamente, con il D.L. 34/2023 (convertito con modificazioni dalla L. n. 56/2023), il legislatore ha ulteriormente inasprito le previsioni inserendo, all’art. 16, la procedibilità d’ufficio del reato previsto dall’art. 583 c.p. e la sanzione della reclusione da due a cinque anni anche nell’ipotesi di lesioni non gravi (quindi, inferiori ai 40 giorni di prognosi).

È poi intervenuto il D. Lgs. n. 31/2024 che, in estrema sintesi, ha esteso la procedibilità d’ufficio a tutti i casi di lesioni personali provocate ad un professionista sanitario nell’esercizio delle sue funzioni per cui, a prescindere dall’entità delle stesse, l’aggressore sarà perseguito su impulso diretto dell’Autorità giudiziaria, senza più necessità di querela della persona offesa.

Da ultimo, si registra poi un ulteriore intervento normativo a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 137/2024, convertito con modificazioni dalla L. n. 171/2024, che prevede, da un canto, l’aggravamento delle pene per coloro che danneggiano beni o strumenti destinati al servizio socio-sanitario, mentre dall’altro introduce alcune ipotesi in cui è previsto l’arresto in flagranza di reato, ivi incluse quelle che integrano l’aggressione fisica del personale sanitario.

Gli obblighi aziendali: mappatura dei rischi di aggressione del personale sanitario

L'obbligo del datore di lavoro di esaminare preventivamente il perimetro dei rischi di aggressione del personale sanitario è già insito nelle previsioni contenute nell'art. 2087 c.c., letto alla luce della disciplina specifica prevista dal testo unico sulla sicurezza del lavoro, per cui è suo onere mappare accuratamente le situazioni in cui è maggiormente probabile il verificarsi di un evento avverso nei confronti del personale impegnato nello svolgimento della prestazione a cui è adibito.

La stessa giurisprudenza di legittimità ha chiaramente osservato che il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità dei rischi connessi tanto all'impiego di attrezzi e macchinari, quanto all'ambiente di lavoro.

Ciò significa che tanto è più consapevole dei rischi connessi all’esercizio di una determinata attività in uno specifico settore (vedasi, i pronto soccorso), tanto più è richiesto all’azienda di esercitare un’attenzione ancora maggiore per individuare tutte le soluzioni possibili a minimizzare il rischio di eventi dannosi a carico dei propri dipendenti.

L’adozione di misure di prevenzione per proteggere infermieri e sanitari dalle aggressioni

Ad un’attenta mappatura dei rischi corrisponde, in rapporto di stretta conseguenzialità, l’adozione di misure di sicurezza idonee, che possono riguardare sia l’adeguamento delle strutture dove si opera e delle relative procedure organizzative, sia l’inserimento di tecnologie sempre più sofisticate, che l’implementazione dei servizi di vigilanza e di intervento, con programmi di formazione specifica del personale per la gestione delle criticità e dei possibili conflitti.

Chiaramente l’introduzione dell’obbligo imposto all’Azienda di adottare specifici protocolli operativi in caso di aggressione, peraltro soggetti a verifica periodica dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie, non fa che ampliare il perimetro della responsabilità che va a gravare sul soggetto che li ha predisposti.

Ciò significa che gli stessi operatori sanitari sono tenuti a mantenere un atteggiamento di massima attenzione nei confronti di potenziali pericoli/rischi derivanti da deficit aziendali ed organizzativi, avendo cura di inviare segnalazioni (protocollate) al datore di lavoro, così da allertare l’azienda dei rischi connessi e dell’esigenza di attivare misure di prevenzione che, qualora non dovessero seguire, potranno condurre ad un accertamento di inadempimento datoriale, con conseguente giudizio di responsabilità in caso di danno derivante da aggressione.

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Le tutele risarcitorie per infermieri e sanitari vittime di aggressione

Per quanto concerne le tutele risarcitorie, oltre alle coperture derivanti dall’attivazione delle procedure conseguenti alla presentazione della denuncia di infortunio sul lavoro, il sanitario aggredito potrà  promuovere un’azione risarcitoria nei confronti dell’aggressore, sia con un’azione autonoma davanti al Giudice civile che, mediante la costituzione di parte civile, nell’ambito dello stesso procedimento penale attivato.

Oltre a ciò, occorre ricordare che è sempre possibile attivarsi nei riguardi del datore di lavoro qualora ricorrano ben specifiche condizioni.

L’aggressione e le sue conseguenze potrebbero infatti ripercuotersi sull’azienda invocando l’applicazione della regola generale prevista dall’art. 2087 c.c., che gli impone di adottare tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi correlati all’ambiente di lavoro, sia quelli determinati da fattori esterni.

il Decreto Legislativo 81/2008 (Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro) prevede, a tale proposito, misure di prevenzione specifiche per garantire elevati standard di sicurezza degli operatori sanitari nei luoghi di lavoro.

Questo decreto stabilisce l’obbligo per i datori di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per prevenire e contrastare le aggressioni, fornendo formazione specifica al personale e mettendo a disposizione dispositivi di sicurezza.

Già prima di tutti gli interventi normativi dianzi enunciati, in parte diretti ad incrementare l’impegno richiesto al datore di lavoro (e quindi la conseguente responsabilità in caso di inadempimento) per aumentare i sistemi di prevenzione del rischio, la giurisprudenza ha affermato che il datore di lavoro deve rispondere del fatto accaduto in danno del suo dipendente, non soltanto quando non ha adottato le misure idonee a tutelare la specifica prestazione, ma anche qualora non si sia preoccupato di predisporre le cautele necessarie per affrontare i rischi connessi all’ambiente di lavoro.

L’onere della prova nel caso di aggressione è ripartito tra lavoratore e datore di lavoro

In questi casi, l’onere della prova è così ripartito:

1) sul lavoratore grava l’onere di dimostrare i fatti costitutivi della propria richiesta (nocività dell’ambiente di lavoro, verificazione di un danno derivante dall’attività svolta ed il relativo nesso di causalità tra questi elementi);

2) una volta dimostrato quanto sopra, sarà poi il datore a dover dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il realizzarsi del danno, ovvero di aver adottato le cautele più adeguate, secondo gli standard più elevati rispetto alla situazione concretamente avvenuta.

Pertanto, la responsabilità del datore di lavoro sorge, ai sensi del disposto di cui all’art. 2087 c.c., ogniqualvolta l’evento dannoso, da chiunque cagionato (sia esso terzo rispetto al rapporto di lavoro ovvero riconducibile ai soggetti del cui operato debba comunque rispondere)  sia causalmente riconducibile ad un comportamento colposo, ovvero all’inadempimento a precisi obblighi legali o contrattuali previsti oppure ai principi generali di correttezza e buona fede, che devono sempre presiedere e governare i rapporti giuridici fra le parti.

Il datore dovrà quindi operare una valutazione specifica dei rischi che il lavoratore può incontrare nell’esecuzione della sua prestazione, adottando le misure di protezione più idonee a proteggere la sua incolumità sia fisica che morale.

L’infermiere risarcito dopo aver subito un’aggressione in Pronto Soccorso

Un caso emblematico (ma ve ne sono altri, Trib. Cosenza n. 609/2022, Trib. Vicenza n. 423/2021) è quello deciso dalla Corte di Appello di Palermo (sent. n. 838/2019) che, in sede di rinvio dalla Cassazione, ha ritenuto fondata la domanda risarcitoria promossa da un infermiere nei confronti dell’azienda sanitaria, a causa di un’aggressione patita mentre era adibito allo svolgimento della propria prestazione al Triage del Pronto Soccorso.

La situazione in cui versava l’area in questione era quella (purtroppo) tipicamente nota in molte strutture italiane: affollamento di utenti, penuria di personale presente e mancanza di attrezzature sufficienti ad affrontare la situazione in modo tempestivo ed adeguato alle esigenze dei pazienti.

Peraltro, come accade tuttora, non solo la situazione era nota all’Azienda, ma si erano altresì registrati altri i episodi di aggressione e minacce da parte dell’utenza, ciò rendendo il rischio del verificarsi di possibili danni ampiamente prevedibile.

I responsabili della sicurezza dell‘Azienda avrebbero quindi dovuto provvedere ad un sistema di protezione e vigilanza  tali da garantire all’infermiere di svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza per cui, non avendo fornito prova adeguata in tal senso, l’azienda è stata ritenuta inadempiente agli obblighi previsti a suo carico, con conseguente accertamento della sua responsabilità civile e relativa condanna al risarcimento del danno residuato dalle lesioni patite, detratto quanto già corrisposto dall’Inail quale infortunio sul lavoro.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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