Violenza ostetrica: ecco come l’Italia tutela i diritti della partoriente e del neonato

È nei Paesi a basso reddito che si è diffuso per la prima volta il termine “violenza ostetrica”. In Italia è arrivato con il gruppo OVO (Osservatorio sulla Violenza Ostetrica), a seguito di un’indagine condotta sull’argomento. Nel 2016 è stata presentata la proposta di legge d’iniziativa del deputato Zaccagnini. Le proposte della Presidente FNOPO, Silvia Vaccari

Il termine “violenza ostetrica” è stato utilizzato per la prima volta da alcuni studiosi che hanno esaminato le condizioni delle donne gravide nei Paesi a basso reddito. In questi luoghi, le persone meno abbienti non hanno generalmente accesso al Sistema Sanitario. Di conseguenza, il momento del parto rappresenta per le donne una delle poche occasioni, se non l’unica, per entrare in contatto con medici ed operatori sanitari. Tuttavia, la scarsa considerazione attribuita al genere femminile, in determinate culture, influenza negativamente anche la relazione che si instaura con i professionisti della salute che, non di rado, assumono atteggiamenti di sopraffazione. “In Italia - racconta Silvia Vaccari, presidente FNOPO, la Federazione Nazionale degli Ordini della Professione di Ostetrica - il termine violenza ostetrica ha cominciato a divenire di uso comune a seguito di uno studio condotto dal gruppo OVO (Osservatorio sulla Violenza Ostetrica). Un’indagine che, personalmente, considero scientificamente poco attendibile, poiché limitata a soli 400 casi in tutta la Penisola”.

La proposta di legge Zaccagnini

La legge italiana punisce chi commette atti di violenza privata (articolo 610), condanna le lesioni personali volontarie (art. 582) e con l’articolo 590 del codice penale le lesioni o morte causata da colpa sanitaria. “Sono questi gli articoli di legge su cui si è basato il legislatore per redigere la normativa vigente”, aggiunge Vaccari. In Italia, nel 2016, è stata presentata la proposta di legge d’iniziativa del deputato Zaccagnini “Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico”. All’articolo 3 sono esplicitamente citate le pratiche di assistenza al parto lesive della dignità e dell’integrità psico-fisica della partoriente e del neonato.

Guarda il video con l'intervista a Silvia Vaccari

Le pratiche lesive di assistenza al parto

“Vi è un espresso divieto - sottolinea Vaccari - di ricorrere a prestazioni sanitarie altamente invasive e non condivise con la donna durante il percorso”. L’episiotomia, l’uso della ventosa o del forcipe, la rottura prematura delle membrane (usata per aumentare le contrazioni), la manovra di Kristeller (che consiste nell'applicare una pressione manuale sul fondo uterino durante la contrazione e la spinta materna, in direzione del canale del parto con lo scopo di ridurre la durata del secondo stadio del travaglio),  quella di  Valsalva (una manovra manuale che si effettua compiendo un'espirazione dopo un'inspirazione profonda, tenendo chiusi bocca e naso), ne sono alcuni esempi.

“L’eventuale utilizzo di farmaci, per accelerare il parto o migliorare la dinamica uterina, va sempre condiviso. Così come è necessario informare la donna sui rischi del taglio cesareo, laddove sia necessario ricorrervi, utilizzando toni e modi consoni al delicato momento attraversato dalla partoriente”, aggiunge Vaccari. Rientrano tra i comportamenti lesivi anche commenti e apprezzanti sconvenienti sul corpo della donna, la rasatura del pube o la pratica di clisteri. È importante tutelare la privacy delle donne evitando che si crei un via vai all’interno della sala parto, in un momento in cui le signore sono generalmente svestite e vivono condizioni psico-fisiche particolarmente delicate. “Andrebbe mantenuto il silenzio per permettere alla coppia di scegliere liberamente di instaurare il clima che si preferisce”, consiglia l’ostetrica.

È importante che la donna possa godere della presenza di una persona di fiducia, non necessariamente il partner, che possa accompagnarla durante il travaglio. “La donna non deve mai rimanere da sola”, osserva Vaccari. Dall’indagine italiana, condotta dall’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica, è emerso pure che alcune donne vorrebbero godere di maggiore libertà durante il travaglio, decidendo in autonomia se, ad esempio, star ferme o camminare, digiunare o alimentarsi. “Oggi - spiega la presidente della FNOPO - la donna ha la possibilità di scegliere molti dettagli: dalla posizione in cui partorire, se utilizzare l’acqua, il massaggio, l’aromaterapia”.

Le soluzioni contro la violenza ostetrica

Eppure, nonostante la chiara possibilità di condivisione, non è sempre così scontato che tra l’ostetrica e la donna si instauri un dialogo libero. Aumentare le dotazioni di personale e favorire una formazione, sia universitaria che post laurea in materia, sono due azioni-chiave che, secondo la presidente Vaccari, potrebbero prevenire gli episodi di violenza ostetrica. “Ancora - dice l’ostetrica - è necessario favorire l’ascolto, dedicando più tempo alla spiegazione di quanto previsto nel consenso informato, migliorando la relazione tra il professionista sanitario e il paziente, incrementando la fiducia”. Sul territorio nazionale esistono centri di eccellenza dove ostetriche e professionisti sanitari rispettano tutti i capisaldi finora enunciati, dove si offre una buona assistenza rispettosa delle richieste delle donne. “Per questo - conclude Vaccari -, generalizzare è sempre poco costruttivo e poco utile. Bisogna lavorare insieme: ostetriche, professionisti sanitari e donne”

Di: Isabella Faggiano, giornalista professionista

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