Vivere con ADHD: Come gestire piccoli pazienti e genitori

In questa guida esploriamo l'ADHD, Disturbo da deficit di attenzione e iperattività, spesso diagnosticato durante l'infanzia e gestito da neuropsichiatri e psicologi specializzati. Come gestire piccoli pazienti e genitori nella terapia? Approfondisci.

Si ringrazia per il contributo la Dott.ssa Giulia Gregorini, Psicologa e Psicoterapeuta

L’ADHD è un acronimo inglese utilizzato per indicare l’Attention Deficit HyperacitivityDisorder (Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività), ovvero una patologia del neurosviluppocaratterizzata da iperattività, impulsività, iperattività motoria ed incapacità di mantenere l’attenzione e la concentrazione.Ha basi neurologiche e le ricerche sembrano convergere sull’identificazione di un’eziologia multifattoriale.

Secondo il DSM (Diagnosticand Statistical Manual of mentaldisorders), il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, l’ADHD può essere definita come “una situazione/stato persistente di disattenzione e/o iperattività e impulsività più frequente e grave di quanto tipicamente si osservi in bambini di pari livello di sviluppo”.L’esordio è riconducibile all’età evolutiva, generalmente prima dei 12 anni.

La prima concettualizzazione del disturbo è ascrivibile al medico Heinrich Hoffman che, nel 1845,in un suo elaborato ha descritto le caratteristiche del bambino iperattivo.Tuttavia, fu riconosciuto come problema medico nel 1902, grazie ai contributi trattati in una serie di conferenze tenute da Sir George F. Still per il Royal College of Physicians inglese.

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Esploriamo l'ADHD, Disturbo da deficit di attenzione e iperattività, spesso diagnosticato durante l'infanzia e gestito da neuropsichiatri e psicologi specializzati. Come gestire piccoli pazienti e genitori nella terapia?

Sintomi e campanelli di allarme: ecco chi può identificarli

La sintomatologia osservabile è eterogenea e individuabile dall’età prescolare all’età adulta.Tendenzialmente, incide sui compiti evolutivi del soggetto e può compromettere l’integrazione sociale e l’adattamento. Si evidenzia un’alterazione nella decodifica degli stimoli ambientali e nelle reazioni comportamentali. Le aree fondamentali d’osservazione sono il contesto familiare e l’ambiente scolastico. Il ruolo dei genitori, dei familiari e degli insegnanti è quindi fondamentale per l’intercettazione dei primi sintomi.

Tra i campanelli d’allarme più diffusi in infanzia compaiono le seguenti manifestazioni:

  • Il bambino fatica a mantenere l’attenzione a lungo durante le attività e nei momenti di gioco.
  • Ha difficoltà ad ascoltare.
  • Non riesce a stare seduto composto a lungo, si alza spesso e/o muove compulsivamente mani e piedi.
  • Tende a smarrire le cose.
  • Spesso mostra deficit di memoria.
  • Non presta attenzione ai dettagli.
  • Ha difficoltà a completare attività finalizzate e a seguire adeguatamente le indicazioni.
  • Fatica a gestire i tempi a disposizione per svolgere compiti e attività.
  • Non rispetta le regole e i limiti.
  • Non percepisce adeguatamente il rischio.
  • Mostra eccessiva loquacità e tende ad intromettersi nelle conversazioni altrui.
  • Ha difficoltà di apprendimento.

È importante attenzionare il rischio della tendenza a patologizzare naturali inclinazioni temperamentali o disagi transitori del bambino. La società odierna impone dei modelli di efficienza e funzionamento sin dall’infanzia con un’esasperata attenzione alla performance. È essenziale valorizzare le differenze e le soggettività, rispettando i tempi di sviluppo del bambino. È invece utile rivolgersi al medico specialista quando i sintomi tendono a perdurare nel tempo, interferiscono con le attività quotidiane e si manifestano in più contesti.

Incidenza, diffusione e diagnosi

Le stime disponibili sulla prevalenza dell’ADHD in Italia subiscono variazioni in base ai metodi di rilevazione dei disturbi, alle diverse fasce di età e alle modifiche delle linee guida per la diagnosi avvenute nel corso del tempo.

Il DSM V evidenza che l’ADHD colpisce circa il 3-5% dei bambini in età scolare, con una prevalenza del genere maschile su quello femminile (rapporto 3:1).

La diagnosi di ADHD in infanzia può essere effettuata da uno specialista neuropsichiatra e da uno psicologo specializzato e adeguatamente formato ma è fondamentale una valutazione multidisciplinare.

L’ADHD comporta una compromissione funzionale multidimensionale, a livello individuale, familiare, scolastico e sociale. Interferisce in tutti gli ambiti di vita nel bambino. La diagnosi precoce favorisce la prognosi e l’efficacia dei trattamenti. È stato rilevato che una grande percentuale dei bambini con ADHD mostra un aumento del rendimento in termini produttivi e creativi durante l’età adulta e sembra adattarsi più facilmente ai contesti lavorativi rispetto all’esperienza scolastica. Mentre, se il disturbo non viene adeguatamente trattato in età infantile vi è una correlazione con il rischio di abuso di alcol, sostanze psicoattive e condotte disregolate e lesive in età adulta.

Il DSM 5 prevede quattro criteri diagnostici:

  1. Il numero di sintomi: devono essere almeno sei per chi ha meno di 17 anni e almeno cinque per chi ha oltre 17 anni;
  2. L’età dell’insorgenza dell’ADHD: fra i 7 e i 12 anni;
  3. I sintomi devono essere presenti in almeno due o più contesti di vita quotidiana (scuola, casa, amici, sport);
  4. I sintomi devono interferire significativamente nei diversi ambiti di vita.
  5. È possibile identificare tre manifestazioni del disturbo in base all’aspetto tipico prevalente, che può essere la disattenzione, l’iperattività/impulsività o entrambi (tipo combinato).

Il DSM V prevede nove sintomi e segni di disattenzione e nove di iperattività e impulsività. I sintomi di disattenzione includono le seguenti manifestazioni nel bambino:

  • non presta attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici o con altre attività;
  • ha difficoltà nello stare attento durante i compiti a scuola o durante il gioco; 
  • non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente; 
  • ha difficoltà a seguire le istruzioni o non completa i compiti richiesti; 
  • ha difficoltà nell'organizzazione di compiti e attività;
  • evita, si disinteressa, oppure rifiuta di svolgere compiti che richiedono un'attività mentale sostenuta per un lungo periodo di tempo; 
  • spesso perde le cose necessarie per i compiti scolastici o per le attività; 
  • si distrae facilmente; 
  • è sbadato nelle attività quotidiane.

I consigli dello psicologo: come i medici possono gestire i piccoli pazienti

I medici hanno il complesso compito di intercettare la natura della disattenzione, se il bambino è disattento per problemi reattivi a stimoli esterni (input ambientali) o per problemi interni (disturbo del pensiero, ansia, tensione). Durante la tarda infanzia i segni di disturbo da deficit di attenzione/iperattività sono maggiormente identificabili: spesso compare movimento continuo degli arti, linguaggio impulsivo e una carente consapevolezza dei possibili rischi ambientali connessi alla loro iperattività. I bambini che appartengono alla categoria disattentiva possono invece non avere sintomi fisici facilmente osservabili. Tuttavia, è importante considerare la diagnosi in maniera non totalizzante. Le diagnosi, soprattutto in età infantile, possono orientare i professionisti nell’intervento ed agevolare la comprensione e la cura ma è essenziale la centralità della soggettività, l’attenzione alle risorse del bambino e la restituzione di competenza a lui e alla famiglia.

Nella relazione con il bambino è importante utilizzare un linguaggio chiaro e accessibile e verificare l’effettiva comprensione; mantenere un atteggiamento fermo, rassicurante e contenitivo. Talvolta è opportuno anche adattare l’ambiente alle sue esigenze (ad.es. disposizione di oggetti).È utile non sovraccaricare il bambino con divieti e regole bensì definire pochi limiti ma farli rispettare. Inoltre, è importante gratificare il bambino per eventuali successi, trasmettendogli fiducia nelle sue possibilità e sostenendolo nelle difficoltà. L’ascolto e l’osservazione diretta del bambino sono fondamentali e non sostituibili dalle sole percezioni dei familiari.

È essenziale il lavoro multidisciplinare in rete previa una valutazione diagnostica accurata. Generalmente si predilige l’integrazione della terapia farmacologica (farmaci psicostimolanti) e terapia comportamentale.

In particolare, nei bambini prescolari è indicato il supporto psicoeducativo ai genitori per supportarli nell’acquisizione di comportamenti funzionali e consapevoli.

Per i bambini in età scolare la psicoterapia cognitivo comportamentale è particolarmente suggerita per incrementare i livelli di attenzione, potenziare l’autoregolazione dell’impulsività e favorire comportamenti adattivi. In età scolare è fondamentale il lavoro strutturato con genitori e insegnanti (parent training e teacher training). È stata infatti convalidata la necessità di un coinvolgimento diretto degli insegnanti come parte fondamentale nella prevenzione e nella cura. Sono regolarmente previste nel contesto scolastico per i bambini con diagnosi di ADHD strategie di facilitazione: assistenza educativa personalizzata e supporto didattico.

Atteggiamenti genitoriali: quali tenere a bada e perché

I genitori di fronte alla diagnosi di un figlio possono manifestare diverse reazioni. Si sentono smarriti e disorientati e ciò può provocare sia l’esacerbazione della difficoltà, sia la negazione e non accettazione della diagnosi. Il primo aspetto fondamentale è supportare il genitore verso una corretta informazione sulla diagnosi del proprio figlio e contrastare reazioni emotive disfunzionali, come la colpevolizzazione o l’iper-protezione. I genitori che tendono a colpevolizzarsi eccessivamente per i disagi del figlio possono perdere la propria funzione normativa, non riuscendo a trasmettere regole e limiti e tentando di compensare il proprio senso di colpa con eccessiva permissività, nociva per la salute del bambino.

È importante spiegare ai genitori che la coerenza dei ruoli è fondamentale e la genitorialità sufficientemente sana deve integrare la dimensione affettiva e quella normativa. L’atteggiamento iper-protettivo comporta un’eccessiva quota di ansia che viene introiettata dal bambino ed involontariamente veicola un senso di sfiducia nelle sue capacità. Occorre trasmettere l’importanza del loro ruolo per sostenere il bambino nelle sfide evolutive. I genitori fungono da specchio per il bambino e sono fondamentali per la costruzione della rappresentazione di sé che egli maturerà. Un bambino con diagnosi di ADHD è importante che crescendo acquisisca consapevolezza dei propri limiti e risorse, senza identificarsi in maniera totalizzante con la diagnosi, ma valorizzando la propria identità alla luce e al di là della diagnosi.

È fondamentale tentare di coinvolgere in egual modo entrambi i genitori, non creando relazioni preferenziali con uno dei due. Spesso, inconsciamente, le coppie genitoriali che vivono tensioni e difficoltà rischiano di triangolare il professionista, così come avviene con il figlio ed è una dinamica con cui è importante non colludere. Se la famiglia presenta difficoltà croniche e pervasive, slatentizzate o enfatizzate dopo la diagnosi, è importante che il medico si possa costituire come ponte, indirizzandola verso una psicoterapia familiare ad orientamento sistemico relazionale, oltre ad incitare la partecipazione agli interventi di training comportamentale e di psico-educazione generalmente predisposti. A partire da un’accurata valutazione caso per caso sarà, quindi, importante individuare gli interventi specialistici necessari.

Bibliografia

AIDAI (a cura di) (2005) Il disturbo di attenzione e iperattività, Editrice Armando.

American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition, DSM-5. Arlington, VA. (Tr. it.: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014). 

Capodieci A. (2017). L’uso delle scale di valutazione per l’identificazione dei casi con ADHD: il confronto tra la rilevazione in base a punteggi di gravità, cut-off e sintomi. Psicologia clinica dello sviluppo. pp. 277-290.

Carbonneau M. L., Demers M., Bigras M., Guay M. (2021). Meta-Analysis of Sex Differences in ADHD Symptoms and Associated Cognitive Deficits. Journal of Attention Disorders.

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Marzocchi G.M., Sclafani M., Rinaldi R., Giangiacomo A. (2012). ADHD in pediatria, Erickson Edizioni.

Di: Isabella Faggiano, giornalista professionista

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