Se nell’aria la presenza di una o più sostanze raggiunge concentrazioni tali da avere effetti avversi sulla salute dell’uomo e di tutti gli esseri viventi in generale, allora, saremo in presenza di inquinamento atmosferico. “Potremmo dividere gli inquinanti in due macro-categorie: sostanze gassose e materiale particolato”, spiega Paola Fermo, professore ordinario di Chimica Analitica, presso il dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Milano.
I principali inquinanti atmosferici
Tra i gas inorganici vi sono: biossido di zolfo, ossidi di azoto, biossido di azoto, monossido di carbonio, ozono. Il materiale particolato aerodisperso, detto anche aerosol, è costituito da particelle solide o liquide disperse in aria che, a seconda della loro origine, possono variare per dimensione e composizione.
Nell’aria possiamo trovare anche composti organici volatili, tra cui benzene e formaldeidi ed anche diversi metalli e semimetalli, come l’arsenico, il nichel, il cadmio, il mercurio e il piombo. Sono definiti “primari” quegli inquinanti, che siano gassosi o che si tratti di particelle solide e liquide, emessi direttamente da fonti naturali.
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Inquinanti “precursori” e “secondari”
Tali inquinanti sono definiti anche “precursori”: “Attraverso diverse reazioni chimiche, infatti, possono dare origine ad altri inquinanti gassosi, come il biossido di azoto presente in atmosfera”, aggiunge la professoressa Fermo. Le sostanze che ne derivano sono detti inquinanti “secondari”.
In Italia, la valutazione della qualità dell’aria è regolata dal D.Lgs 155/2010 (e successive modificazioni), in Europa dalle direttive europee 2008/50/CE e 2004/107/CE. Nonostante le chiare prescrizioni, nella maggior parte dei Paesi europei, Italia compresa, i limiti previsti dalla legge vengono puntualmente disattesi. In generale, anche se di strada ce n’è ancora tanta da fare, attualmente le emissioni degli inquinanti e dei loro precursori risultano in calo rispetto agli anni passati.
I benefici di lasciare la “strada vecchia”
Nell’attesa che questi valori soglia si attestino ad un livello ritenuto non pericoloso per la salute degli esseri umani e di tutti gli altri viventi, è possibile adottare dei comportamenti individuali che limitino, laddove possibile, l’esposizione agli agenti inquinanti. “A nulla serve indossare la mascherina, che non ci protegge affatto dalle sostanze inquinanti presenti in atmosfera – assicura l’esperta -. Piuttosto, sarebbe consigliabile verificare il livello di inquinamento delle strade che di consueto percorriamo, come quella, ad esempio, che attraversiamo tutti i giorni per andare al lavoro o a scuola. Se dovesse essere rilevato un tasso di inquinamento troppo superiore ai limiti consentiti dalla legge, allora potremmo scegliere percorsi alterativi che ci espongano meno all’inquinamento atmosferico”.
Il riscaldamento: la principale fonte di inquinamento in Italia
A livello collettivo, invece, sarebbe necessario valutare con attenzione le principali fonti di inquinamento di un determinato luogo, ‘spegnendole’ a giorni alterni. “Pensiamo agli inquinanti emessi dagli impianti di riscaldamento delle nostre case durante il periodo invernale o a quelli che, 365 giorni all’anno, derivano dai forni a legna delle pizzerie”, suggerisce Fermo. Con una percentuale del 38%, infatti, è proprio il riscaldamento la principale fonte di inquinamento in Italia.
Gli obiettivi UE
Per ridurre l’inquinamento atmosferico a livello industriale occorre applicare le direttive dell’Unione, che puntano ad abbassare le emissioni di carbonio perseguendo obiettivi a medio e lungo termine. Tali norme sono finalizzate alla creazione di un settore industriale che, oltre a ridurre le emissioni inquinanti nell’aria, attinga sempre meno alle risorse naturali e generi minori quantità di rifiuti. In questo percorso anche i comuni cittadini sono chiamati a fare la propria parte adottando alcune semplici, ma buone abitudini: “Muoversi a piedi o in bici ogni volta che è possibile, prediligere tessuti naturali, fare la raccolta differenziata dei rifiuti, scegliere prodotti a km zero e – conclude la professoressa – non sprecare cibo, acqua ed energia elettrica”.