Con quasi
40 casi al giorno e 292 pazienti confermati, l’Italia è tra i Paesi più colpiti. Seguono in Europa: Spagna, Regno Unito e Germania. Il
Monkeypox, o Vaiolo delle scimmie, da maggio sta dilagando oltre il continente Africano, dove era endemico ma confinato, interessando già 65 Paesi con oltre
10.600 casi confermati.
“Lo
scoppio globale del vaiolo delle scimmie è chiaramente
insolito e preoccupante. È per questo motivo che ho deciso di convocare la prossima settimana il
comitato di emergenza ai sensi del regolamento sanitario internazionale per valutare se questo focolaio rappresenti un’emergenza di salute pubblica di interesse internazionale”, lo ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) nel corso di un briefing. L’obiettivo dunque? esaminare la tendenza di diffusione, l'efficacia delle contromisure introdotte finora e formulare raccomandazioni sulla gestione dell’epidemia.
Origine e trasmissione del virus
Scoperto per la prima volta nel
1958 tra colonie di scimmie allevate per la ricerca (da cui il nome), il Monkeypox è un’infezione zoonica (trasmessa dagli animali all’uomo) proveniente dalla stessa famiglia del vaiolo umano (Poxviridae) ma che si differenzia da questo per una minore trasmissibilità e gravità.
A partire dal
primo caso umano registrato nel
1970 nella
Repubblica Democratica del Congo, la sua diffusione è stata storicamente confinata all’
Africa centrale e occidentale ma, a partire dal 7 maggio di quest’anno con il primo caso in Inghilterra, stiamo assistendo ad una diffusione endemica del virus anche nel resto del mondo.
“Se da un lato il rischio pandemia appare scongiurato e si deve evitare di generare innecessario allarmismo, è altrettanto fondamentale che i professionisti della salute siano correttamente informati e che a loro volta sappiano guidare la popolazione nel contrastare la diffusione del virus”, dichiara
Massimo Andreoni, Professore Ordinario di Malattie Infettive e Direttore Scientifico della
Società Italiana delle Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) che al Monkeypox ha dedicato il webinar
“Il vaiolo delle scimmie: facciamo chiarezza”, realizzato in collaborazione con il provider di formazione ECM Consulcesi.
Il corso, inizialmente in esclusiva per i membri del Club, va ora ad aggiungersi alla ricca offerta tra cui tutti gli operatori sanitari possono scegliere per acquisire i
crediti formativi obbligatori previsti dal DLgs 502/1992 entro la
fine del triennio 2020-2022 stabilita al 31 dicembre di quest’anno.
Trasmesso all’uomo inizialmente da
primati e piccoli roditori, il virus può diffondersi da una persona all’altra attraverso lo stresso
contatto con fluidi e materiale infetto proveniente dalle lesioni cutanee che, generalmente, provoca.
“La lotta a questo, come per il Covid e qualunque altro tipo di virus, passa necessariamente e in primis attraverso le azioni di ognuno di noi. È fondamentale sapere quali misure mettere in atto per ridurre la diffusione della patologia”, aggiunge lo specialista che nel webinar risponde a dubbi e domande affrontando tematiche come la
sintomatologia del virus,
test diagnostici,
terapie e
antivirali, malattie esantematiche, vaccini e
immunità specifiche.
I sintomi del Monkeypox
Sebbene secondo i manuali scientifici il virus si manifesti inizialmente con
febbre alta,
cefalea,
dolori muscolari,
mal di schiena,
affaticamento,
ingrossamento dei linfonodi a cui seguono dopo circa tre giorni
eruzioni cutanee di colore rosso e
vescicole purulente, secondo uno degli
ultimi rapporti dell’OMS questa nuova ondata di epidemia presenta
sintomatologie atipiche, che spesso si manifestano prima dei sintomi sistemici, come l’assenza o un numero contenuto di lesioni, dolore e sanguinamento anale e lesioni nell’area dei genitali e in quella perianale.
Con un tempo di incubazione relativamente lungo, si va da 1 a 3 settimane, la guarigione arriva solitamente nel giro di
tre o quattro settimane dalla comparsa dei primi sintomi. Il tasso di mortalità si aggira tra il 3-6%.
Diagnosi e cure
Secondo quanto scrive l’Istituto Superiore di Sanità, è possibile che le persone che sono state vaccinate contro il vaiolo siano a minor rischio di infezione con il Monkeypox ma al momento non è raccomandata la
vaccinazione per la popolazione generale, mentre quella post-esposizione “può essere presa in considerazione per contatti a rischio più elevato come gli operatori sanitari, previa attenta valutazione dei rischi e dei benefici”.
“Attualmente non esistono trattamenti antivirali approvati ma ci sono studi in corso per valutare l’efficacia del vaccino contro il Vaiolo sul Monkeypox; dunque le nostre principali armi di difesa rimangono la prevenzione e un buon
sistema di diagnosi”, conclude Andreoni anticipando un altro argomento affrontato nel corso dell’evento.
“È necessario
attrezzare molti più laboratori lungo tutto il territorio per essere in grado di fare
diagnosi precoci” - conclude il Direttore Scientifico SIMIT – “Al momento su questo fronte come Paese siamo un po’ in ritardo temo, ma non perché non abbiamo le tecnologie e i sistemi necessari, anzi, ma perché questi non sono distribuiti adeguatamente sul territorio. Rafforzare l’assistenza territoriale e le capacità diagnostiche devono rimanere una priorità del Servizio Sanitario Nazionale anche quando i periodi di “emergenza-urgenza” passano”.