Medici e sanitari a rischio aggressioni: l’importanza delle segnalazioni all’Azienda per tutelarsi

Per ottenere il risarcimento del danno da aggressione del personale sanitario è importante fare segnalazioni preventive di rischio nei Pronto Soccorso. Come? Leggi il commento dell’avvocato.

Sommario

  1. Prevenzione e segnalazioni: come ridurre il rischio di aggressioni
  2. Responsabilità del datore di lavoro in caso di aggressione
  3. Dimostrare la responsabilità del datore di lavoro: l’onere della prova
  4. L'importanza delle segnalazioni per la tutela dei lavoratori

La situazione in cui versano alcuni reparti, primo fra tutti di Pronto Soccorso, dei nostri Ospedali è ormai tristemente nota registrandosi, secondo le statistiche diffuse da alcune espressioni del mondo sanitario, addirittura 25.940 episodi di aggressione del personale impegnato solamente nel corso dell’ultimo anno. 

Urge allora fornire qualche strumento in più al dipendente per conoscere compiutamente quali sono i suoi diritti e come poterli attivare sia nei confronti dell’aggressore, da cui le consuete azioni di natura penalistica e risarcitorie, che nei riguardi dell’azienda datrice di lavoro per violazione degli obblighi imposti a suo carico per garantire la sicurezza negli ambienti di lavoro.  

Prevenzione e segnalazioni: come ridurre il rischio di aggressioni

Posto come l’attività di prevenzione, con continuo incremento ed efficientamento dei sistemi organizzativi e dei presidi di sicurezza rimane il modo migliore per ridurre, se non addirittura annullare, il continuo verificarsi di eventi simili, viene da chiedersi quali iniziative possano essere concretamente intraprese da coloro che, giornalmente, sono impegnati in ambiti lavorativi potenzialmente rischiosi. 

Mantenere un atteggiamento di massima attenzione nei confronti di potenziali pericoli o fonti di rischio derivanti da deficit strutturali ed organizzativi, con conseguente inoltro di continue segnalazioni (protocollate) al datore di lavoro, configura infatti non soltanto parte importante della prestazione lavorativa richiesta al dipendente sanitario, ma puranche un possibile presupposto per poter attivare la tutela risarcitoria nei confronti della stessa azienda, qualora da quella stessa denunziata inefficienza dovesse derivare un fatto lesivo a carico del lavoratore. 

Responsabilità del datore di lavoro in caso di aggressione

Al fianco delle consuete iniziative (penali e civili), generalmente previste dal nostro ordinamento a tutela dei danni patiti dal dipendente per un’aggressione avvenuta sul posto di lavoro e che, di regola, vedono coinvolto soltanto il responsabile dell’atto lesivo, si pone l’alternativa di agire nei confronti della stessa azienda datrice di lavoro, facendo valere il disposto di cui all’art. 2087 c.c., così declinato negli ulteriori obblighi previsti a suo carico dall’ampia normativa a tutela della sicurezza sul lavoro. 

In più di un’occasione la Corte di Cassazione, intervenendo su casi di infermieri aggrediti mentre svolgevano la loro prestazione in PS, ha infatti osservato che sussiste la responsabilità dell’imprenditore, non soltanto per non avere adottato il tipo di misure normativamente previste in relazione all’attività esercitata, ma anche per aver omesso di predisporre tutte quelle cautele necessarie per affrontare gli specifici rischi connessi all’ambiente di lavoro ed all’impiego dei macchinari. 

L'obbligo di prevenzione sancito dal richiamato art. 2087 c.c. impone alla parte datoriale di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che di fatto rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche tutte le altre misure che potrebbero essere necessarie rispetto alla specificità dei rischi connessi all’ambiente di lavoro nella sua concretezza. 

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Dimostrare la responsabilità del datore di lavoro: l’onere della prova

Ai fini dell'accertamento della responsabilità del datore di lavoro per lesioni occorse a seguito di un'aggressione patita sul luogo di lavoro, occorre quindi far riferimento ai principi previsti per le obbligazioni contrattuali. 

In queste pronunce, viene chiarito il riparto dell’onere probatorio per cui, sul lavoratore, grava l’onere di dimostrare i fatti costitutivi della propria richiesta, ovvero: 

  • la nocività dell’attività lavorativa in ragione dell’insopportabile intensità della prestazione richiesta o delle condizioni di difficoltà operativa in cui viene svolta;  
  • la consapevolezza in capo all’azienda della rischiosità dell’attività lavorativa e l’eventuale aumento di tale rischiosità in ragione di circostanze concrete di cui è venuto a conoscenza;  
  • la colpevole omissione di misure idonee a ridurre o limitare i fattori di rischio e impedire l’evento. 

Una volta dimostrato quanto sopra, sarà poi il datore a dover dimostrare, per liberarsi dalla sua responsabilità, di aver fatto tutto il possibile per evitare il realizzarsi del danno, ovvero di aver adottato le cautele più adeguate, secondo gli standard più elevati rispetto alla situazione concreta. 

Il fatto che non vi sia una normativa che regolamenti un rischio specifico non esonera la parte datoriale dalla propria responsabilità, essendo comunque tenuta a monitorare, costantemente ed in modo accurato, tutte le possibili fonti di rischio di infortunio per i suoi dipendenti, approntando le misure più idonee qualora venga a conoscenza di fonti di potenziale danno per gli stessi. 

Pertanto, la responsabilità del datore di lavoro sorge, ai sensi del disposto di cui all’art. 2087 c.c., ogniqualvolta l’evento dannoso, da chiunque cagionato (sia esso terzo rispetto al rapporto di lavoro ovvero riconducibile ai soggetti del cui operato debba comunque rispondere)  sia causalmente riconducibile ad un comportamento colposo, ovvero all’inadempimento a precisi obblighi legali o contrattuali previsti oppure ai principi generali di correttezza e buona fede, che devono sempre presiedere e governare i rapporti giuridici fra le parti. 

L'importanza delle segnalazioni per la tutela dei lavoratori

Spesso le parti datoriali, soprattutto nel caso di aggressioni del personale sanitario in ambito di PS, si difendono sostenendo da un canto l’eccezionalità dell’evento, come tale imprevedibile nel suo concreto svolgimento, e dall’altro l’impossibilità di prevenire ogni potenziale rischio non essendo praticabile alcuna soluzione che impedisca il contatto fisico fra personale e paziente. 

Proprio per ovviare a queste contestazioni, può assumere grande rilievo l’iniziativa preventiva del personale sanitario che, segnalando costantemente le inefficienze organizzative, l’assenza di presidi adeguati, la penuria di supporti o la carenza di protocolli di intervento adeguati, mette pienamente a conoscenza l’azienda delle condizioni di reale insicurezza in cui sono costretti ad operare. 

Infatti, una volta ricevute le segnalazioni, il datore sarà ancor più obbligato ad intervenire efficacemente operando un approfondimento specifico della situazione, nonché valutando concretamente il perimetro di rischio che il lavoratore può incontrare nell’esecuzione della sua prestazione. 

Ad un’attenta mappatura dei rischi corrisponde, infatti, l’adozione di misure di sicurezza idonee a rendere l’ambiente di lavoro scevro da pericoli e quindi sicuro, adeguando le strutture dove si opera, implementando le procedure organizzative ed i servizi di vigilanza e di intervento, con relativi programmi di formazione per la gestione delle criticità e dei possibili conflitti. 

Non adempiere a questo onere, ovvero farlo con standard di sicurezza inferiori a quelli necessari in relazione alla situazione concretamente esistente, andrà quindi ad influire, negativamente, sulle possibilità per la stessa azienda, che si trovi a fronteggiare una richiesta di risarcimento dei danni fisici e morali patiti dal dipendente a seguito di un episodio di aggressione, di riuscire a dimostrare la non imputabilità del fatto avvenuto, con conseguente incremento delle chance di condanna a favore del dipendente danneggiato. 

 

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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