Buoni pasto: chi ne ha diritto, come si richiedono e quanto valgono

Per i Buoni Pasto si può fare richiesta di rimborso al datore di lavoro che non li concede? La normativa per il sanitario.

Sommario

  1. Buoni pasto: la normativa per medici e sanitari
  2. Diritto alla pausa e diritto alla mensa
  3. Diritto ai Buoni Pasto: le decisioni della Cassazione
  4. Come chiedere i Buoni Pasto e gli eventuali arretrati?
  5. Quanto vale il Buono Pasto?

Il riconoscimento del diritto ai buoni pasto è questione che produce effetti giuridici sia sulla situazione attuale del dipendente turnista, con conseguente miglioramento, anche economico, della sua condizione lavorativa, che sul passato, venendo a sanare gli anni in cui l’esercizio di questo diritto non è stato concesso con il risarcimento parametrato al corrispondente monetario.

Come insegnano i diversi pronunciamenti favorevoli resi dalla recente giurisprudenza, questo tema interessa tutti i dipendenti (medici, infermieri, professionisti sanitari ed Osa) delle varie amministrazioni sanitarie pubbliche che, svolgendo la loro prestazione secondo un turno superiore alle 6 ore, reclamano il riconoscimento del diritto alla percezione del buono pasto sostitutivo del servizio mensa, del quale non hanno potuto fruire.

 

Buoni pasto: la normativa per medici e sanitari

Il diritto alla mensa per i dipendenti del comparto Sanità trae origine dall’art. 29 del CCNL 20.09.2001, integrativo del CCNL 07.04.1999 e modificato dall'art. 4 del CCNL del 31.07.2009, secondo il quale "le aziende, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, garantire l'esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive. In ogni caso l'organizzazione e la gestione dei suddetti servizi, rientrano nell'autonomia gestionale delle aziende, mentre resta ferma la competenza del CCNL nella definizione delle regole in merito alla fruibilità e all'esercizio del diritto di mensa da parte dei lavoratori”.

Prosegue: “Hanno diritto alla mensa tutti i dipendenti, ivi compresi quelli che prestano la propria attività in posizione di comando, nei giorni di effettiva presenza al lavoro, in relazione alla particolare organizzazione dell'orario. Il pasto va consumato al di fuori dell'orario di lavoro. Il tempo impiegato per il consumo del pasto è rilevato con i normali mezzi di controllo dell'orario e non deve essere superiore a 30 minuti. Le Regioni, sulla base di rilevazioni relative al costo della vita nei diversi ambiti regionali e al contesto sociosanitario di riferimento, possono fornire alle aziende indicazioni in merito alla valorizzazione - nel quadro delle risorse disponibili - dei servizi di mensa nel rispetto della partecipazione economica del dipendente finora prevista. Nel caso di erogazione dell'esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive, queste ultime non possono comunque avere un valore economico inferiore a quello in atto ed il dipendente e tenuto a contribuire nella misura di un quinto del costo unitario del pasto. Il pasto non è monetizzabile”.

Diritto alla pausa e diritto alla mensa

Con riferimento al più generale diritto alla pausa, che viene a coincidere e sovrapporsi con il diritto mensa, l'art. 8 del D. Lgs. n. 66 del 2003 (attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro) attribuisce al lavoratore il diritto alla pausa così declinandolo: "Qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo”.

Attualmente, la disciplina di questo diritto risulta inserita, per il comparto, nel CCNL 2016-2018 laddove si prevede che: “Qualora la prestazione di lavoro giornaliera ecceda le sei ore, il personale, purché non in turno, ha diritto a beneficiare di una pausa di almeno 30 minuti al fine del recupero delle energie psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto, secondo la disciplina di cui all'art. 29 del CCNL integrativo del 20/9/2001 e all'art.4 del CCNL del 31/7/2009”.

Giova altresì aggiungere come l’art. 4 della direttiva europea 2003/88 disciplini espressamente la nozione di pausa, obbligando gli Stati membri ad assumere le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, qualora l'orario di lavoro giornaliero superi le 6 ore, di una pausa le cui modalità e, in particolare, la cui durata e condizioni di concessione sono fissate da contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali o, in loro assenza, dalla legislazione nazionale.

Diritto ai Buoni Pasto: le decisioni della Cassazione

Nei diversi precedenti pervenuti all’esame della Corte di Cassazione, quest’ultima ha sempre ribadito (da ultimo, con le pronunce n. 21440/2024, n. 9206/2023 e n. 3524/2022), che nell’ambito del pubblico impiego privatizzato il riconoscimento del diritto al cd. “buono pasto” non ha funzione retributiva, ma rappresenta unicamente un’agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale che, rientrando nell’organizzazione del lavoro, è finalizzata a conciliare le esigenze lavorative del servizio con quelle personali del dipendente.

Ciò significa che, laddove il turno ecceda quotidianamente il limite delle sei ore continuative, a prescindere dalle fasce orarie di lavoro, deve essere necessariamente prevista la possibilità per il lavoratore di fruire della pausa mensa, ciò garantendo quel reintegro delle energie psicofisiche spese nel lavoro, propedeutico a far sì che il dipendente possa poi proseguire nella sua prestazione in condizioni di sostanziale benessere.

Quindi, il buono pasto deve considerarsi un beneficio che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell'ambito dell'organizzazione del lavoro, si possano conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore, al quale viene così consentita - laddove non sia previsto un servizio mensa od  il dipendente non abbia potuto goderne per ragioni di servizio - la fruizione del pasto, i cui costi vengono assunti dall'Amministrazione, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell'attività lavorativa.

Mentre la migliore giurisprudenza devolve alla discrezionalità amministrativa la decisione di istituire o meno mense a servizio dei dipendenti, ritiene comunque doverosa l’attribuzione del diritto declinabile, se del caso, con modalità sostitutive quando per ragioni organizzative, non sia possibile garantire al dipendente il rispetto della pausa che, di fatto, deve essere necessariamente fruita al di fuori dell’orario di lavoro.

È stato infatti ripetutamente affermato che la fruizione del pasto, correlato al diritto alla mensa od al buono pasto sostitutivo, è prevista nell'ambito di un intervallo non lavorato poiché, diversamente, non sarebbe neppure possibile esercitare un controllo sulla sua durata, invece stabilita sia dalla contrattazione collettiva che, molto spesso, dai regolamenti aziendali integrativi.

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Come chiedere i Buoni Pasto e gli eventuali arretrati?

Tutti coloro (medici, infermieri, professionisti sanitari ed Osa) che svolgono, od hanno svolto siccome cessati (per pensionamento, dimissioni ecc..), la loro prestazione lavorativa secondo turni superiori alle 6 ore, in qualsiasi momento della giornata (mattina, pomeriggio o notturno), e che non possono fruire del servizio mensa aziendale.

Il termine di prescrizione per il riconoscimento degli arretrati è pari a 10 anni, che decorre dal momento in cui il dipendente avrebbe potuto esercitare il suo diritto.

La comunicazione, da inoltrare all’azienda sanitaria datrice di lavoro, ha ad oggetto, per coloro che sono ancora in servizio, la richiesta di riconoscimento del diritto alla fruizione del buono pasto dall’attualità e per tutto il tempo del rapporto di lavoro, oltre al risarcimento del danno per non aver potuto godere del servizio mensa in passato, calcolato in base al valore nominale del buono sostitutivo moltiplicato il numero di turni di lavoro in cui il dipendente non ha potuto fruire del beneficio.

Per quelli che, invece, sono già cessati dal servizio, o comunque hanno risolto il loro rapporto di lavoro con l’azienda destinataria della richiesta, residua comunque l’opportunità di reclamare il risarcimento del danno secondo i criteri già evidenziati nel precedente capoverso, ovviamente nel rispetto del termine prescrizionale stabilito dalla legge.

Quanto vale il Buono Pasto?

L’ammontare nominale del buono pasto è correlato all’indicazione economica, contenuta nelle previsioni di legge, del CCNL o, qualora previste, nelle migliori condizioni eventualmente stabilite nel regolamento aziendale, non potendosi comunque superare il limite di 7 euro per buono pasto. Di regola, l’importo generalmente applicato dalle amministrazioni pubbliche ammonta ad euro 4,13.

Per conoscere l’importo complessivo a cui, al ricorrere delle condizioni stabilite dalla giurisprudenza in tema di risarcimento del danno da mancato riconoscimento del diritto ai buoni pasto,  si potrebbe aver diritto occorre moltiplicare il valore nominale del buono per il numero di turni eccedenti le 6 ore ricoperti nel limite massimo del termine prescrizionale di 10 anni, trattandosi di prestazione assistenziale e quindi non retributiva, a decorrere dal momento in cui il diritto avrebbe potuto essere reclamato dal dipendente.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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