L’equa riparazione contro le lungaggini processuali: nuove vittorie per gli assistiti Consulcesi 

 

È possibile agire contro la violazione del termine di ragionevole durata del processo.  L’azione che ne consegue è volta ad ottenere un risarcimento del danno per le lungaggini processuali di giudizi e si basa sulla Legge n. 89/2001, o Legge Pinto, come modificata dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208. 

Tutto ruota attorno al “termine ragionevole” di durata del processo. L’organo competente a decidere sulle domande di equo indennizzo per l’eccessiva lungaggine dei processi è la Corte d’appello. La valutazione del "termine ragionevole" di durata del procedimento, nonché la quantificazione del danno subito spettano all’autorità giudiziaria adita.

L’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con la legge 4 agosto 1955 n. 848, stabilisce, tra l’altro, che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole.

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Cos’è l’equa riparazione e quando si può richiedere?

Chi è stato coinvolto in un processo di qualunque tipo - civile, penale, amministrativo, pensionistico, fallimentare, militare, per responsabilità medica etc. - per un periodo di tempo definito ‘irragionevole’, cioè troppo lungo, può ottenere il risarcimento del danno morale da ingiusta attesa, per ogni anno di durata eccessiva del processo. La durata ragionevole del processo è considerata, generalmente, di tre anni per il primo grado, di due per il secondo, di uno per la cassazione, 3 anni per i procedimenti di esecuzione forzata e 6 anni per le procedure concorsuali. Il risarcimento può essere chiesto anche se il giudizio è terminato con una transazione (Cass. 8716/06, Cass. 11.03.05 n. 5398).

Il diritto all’equa riparazione si fa valere presentando ricorso tramite avvocato alla Corte di Appello territorialmente competente. Il presupposto imprescindibile per poter avviare una causa di equa riparazione, è l’aver proposto una domanda ad un Giudice che sia ancora pendente o che sia stata decisa con sentenza emessa dopo numerosi anni. L’equa riparazione riguarda solo ed esclusivamente la fase giudiziaria, ossia il segmento temporale che intercorre tra la domanda giudiziaria (ricorso, citazione...) e la sentenza.

L'art. 4 Legge n. 89/2001, prevede un termine, a pena di decadenza, di 6 mesi che decorre – come sancito dalla Cassazione - dalla data del passaggio in giudicato della sentenza giudiziaria emessa in ritardo. 

La competenza e i presupposti

Ai sensi dell’art. 3, comma 1, L. 24/03/2001, n. 89, la competenza a decidere sui ricorsi per equa riparazione spetta al Presidente della Corte d’Appello nel cui distretto ha sede il Giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto. Sulla domanda provvede il Presidente o un magistrato da lui designato, diverso da quello del giudizio presupposto. Stante la struttura bifasica del procedimento assunta a seguito della riforma del 2015, l’Amministrazione convenuta è tenuta a sollevare l’eccezione di incompetenza nell’atto di opposizione, a pena di decadenza. L’incompetenza può essere rilevata, altresì, d’ufficio dal Giudice in udienza.

La proposizione della domanda di equa riparazione è subordinata alla sussistenza dei seguenti presupposti:

  1. irragionevole durata del processo;
  2. attuazione dei rimedi preventivi individuati all’art. 1-ter, L. 24/03/2001, n. 89: tale requisito, richiesto a pena di nullità, è stato previsto dal 01/01/2016 e si applica ai procedimenti la cui durata, dopo il 31/10/2016, eccede i termini ragionevoli;
  3. esistenza di un danno;
  4. nesso causale tra l’irragionevole durata del processo ed il danno. 

Quando non si può chiedere il risarcimento per equa riparazione?

Non può essere concesso un indennizzo (art. 2, comma 2-quinquies, L. 24/03/2001, n. 89) in favore della parte soccombente condannata per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.; nel caso in cui il Giudice abbia accolto la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa a norma dell’art. 91, comma 1, c.p.c.; quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta formulata dal mediatore nel corso del procedimento di mediazione ex art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010; nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte; quando l’imputato non ha depositato l’istanza di accelerazione del processo penale nei 30 giorni successivi al superamento dei termini ex art. 2-bis; in ogni caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato un’ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento; quando, per effetto del pregiudizio, la parte ha conseguito dei vantaggi patrimoniali eguali o maggiori rispetto alla misura dell’indennizzo.

Come avviene il procedimento?

Il procedimento, così come modificato dalla L. 07/08/2012, n. 134, è caratterizzato da agilità e contraddittorio, dinanzi al Collegio, differito ed eventuale e si svolge in due fasi:

  1. inaudita altera parte: fase necessaria;
  2. in contraddittorio: fase eventuale, a cognizione piena, provocata dall’opposizione di una delle parti. 

Segue la sentenza. 

È ammessa l’equa riparazione anche per le lungaggini processuali derivanti da procedimento per responsabilità medica

È ammessa l’indennità da equa riparazione con riferimento al giudizio per responsabilità medica protrattosi in maniera irragionevole.

Sono molte le vittorie ottenute e il risarcimento da Consulcesi, proprio nei riguardi delle azioni giudiziarie per ottenere l’equa riparazione a seguito delle lungaggini processuali.

Tra le novità introdotte dalla Corte di Cassazione, quella introdotta con sentenza n. 2221 del 25 gennaio 2022, della seconda sezione civile che è tornata sui presupposti per conseguire l’indennizzo per violazione del termine di ragionevole durata del processo, soffermandosi sul patema d'animo derivante dalla situazione di incertezza per l'esito della causa in caso di violazione del termine di ragionevole durata del processo.

L'art. 2, comma 2-quinquies, della L. 24 marzo 2001, n. 89 (legge Pinto), come modificato dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, esclude l'indennizzo in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole dell'infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande e difese. In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il patema d'animo derivante dalla situazione di incertezza per l'esito della causa è da escludersi non solo ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal momento dell'instaurazione del giudizio, ma anche per il periodo comunque conseguente alla consapevolezza dell'infondatezza delle proprie pretese che sia sopravvenuta dopo che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole (Cass. civ., sez. VI-2, 12 gennaio 2017, n. 665; Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2018, n. 9552; Cass. civ., sez. VI-2, 24 giugno 2021, n. 18191, non massimata).

La valutazione di temerarietà del giudizio è un presupposto analizzato dal giudice del merito dell'equa riparazione e non va, peraltro, assoggettata al sindacato di legittimità motivazionale.

Nuove vittorie nelle cause di equa riparazione di Consulcesi

Proprio recentemente circa 600 medici assistiti da Consulcesi nell’ambito di alcuni giudizi di equa riparazione hanno ottenuto due favorevoli decreti (983/22 e 969/22) per un totale di oltre un milione di euro di risarcimenti dovuti alle lungaggini processuali. 

Alcuni delle azioni legali dei medici specialisti, infatti, si sono concluse ampiamente oltre i termini ritenuti adeguati dalla legge Pinto, cosicché molti ricorrenti hanno deciso di tutelarsi anche in relazione a questa ennesima violazione, per la quale hanno ottenuto giustizia.

L’accoglimento dei ricorsi per equa riparazione promossi dal team legal Consulcesi rappresenta un altro importante passo per la tutela di questa categoria che reclama i propri diritti ormai da oltre un ventennio e che avrebbe dovuto vederli riconosciuti in tempi ragionevoli: perché un processo è equo non solo quando vengono correttamente valutate le posizioni della parti, ma anche quando venga impiegato un tempo ragionevole per arrivare alla conclusione dell’iter processuale. 

Di: Redazione Consulcesi Club

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