La figura del medico legale può avere un ruolo attivo nella prevenzione degli episodi di femminicidio? È l’idea alla base di un progetto che va avanti da tre anni, in cui sono stati raccolti dati da 27 istituti di medicina legale, per un totale di 1.240 casi analizzati.
“Abbiamo cominciato a lavorare – spiega la professoressa Rossana Cecchi, direttrice dell’Istituto di Medicina Legale di Modena – per definire il femminicidio in termini medico-legali, andando oltre la semplice idea di omicidio di una donna. Dopo confronti interdisciplinari, lo abbiamo definito come l’uccisione di una donna a cui è negato il diritto all’autodeterminazione, spesso per aver rifiutato richieste o decisioni imposte da un uomo. Questa definizione amplia la comprensione del fenomeno non limitandolo alle sole relazioni affettive”.
In questo senso, può risultare centrale la figura del medico legale nella prevenzione dei femminicidi: “Come uno psicologo fornisce diagnosi e prognosi, il medico legale può analizzare le aggressioni subite, identificare i fattori di rischio e aiutare la vittima a capire la gravità della sua situazione. Ad esempio, lesioni al collo indicano un altissimo rischio di esito letale, mentre colpi al volto o alla bocca rivelano il rifiuto dell’identità o della libertà di parola della donna”.
Insomma, “adottando un approccio scientifico e basato su dati, non paternalistico, possiamo offrire alle donne una nuova prospettiva sulla loro condizione e aiutarle a spezzare la spirale della violenza”.