Ferie non godute: la ASL non si salva con la comunicazione generica

La comunicazione generica inviata dall'Azienda non è sufficiente per azzerare il diritto ad indennizzo per ferie non godute. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione sul caso di un pediatra. Quali caratteristiche non devono mancare nel documento per essere valido?

Sommario

  1. Il caso del medico pediatra
  2. L’onere della prova delle esigenze organizzative
  3. Il contenuto della comunicazione dell’azienda di fruire delle ferie accumulate
  4. Monetizzazione anche in caso di cessazione del rapporto per malattia

La Corte di Cassazione torna nuovamente sul tema del diritto del dipendente ad ottenere, alla cessazione del rapporto di lavoro, il pagamento dell’indennità per le ferie maturate e non godute, illustrando da un lato il contenuto degli obblighi organizzativi ed informativi in capo all’azienda sanitaria e, di conseguenza, sottolineando l’inidoneità di quelle comunicazioni con cui l’amministrazione abbia genericamente richiesto al dipendente di consumare le ferie prima della cessazione del rapporto di impiego e non entro una data specificamente indicata, senza riportare l’avviso menzionato e subordinando, comunque, l’utilizzo del congedo alle proprie esigenze organizzative.

Il caso del medico pediatra

La questione trae origine dalla domanda presentata da un medico pediatra di una ASP siciliana che, rimasto in servizio fino al 31 gennaio 2017, richiedeva il pagamento dell’importo di oltre 41 mila euro a titolo di indennità per i 178 giorni di ferie maturati e non goduti nel corso del cessato rapporto di lavoro.

Respinta la domanda sia in primo che in secondo grado, il sanitario si vedeva costretto a presentare ricorso in cassazione, affidato a due motivi specifici.

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L’onere della prova delle esigenze organizzative

Con il primo motivo, il ricorrente censurava la decisione sfavorevole assunta dalla Corte di Appello, nella parte in cui gli aveva addossato l’onere della prova delle esigenze aziendali o personali che gli avrebbero impedito di fruire del periodo di riposo, risultando agli atti la presenza di una previa comunicazione con cui il Direttore di struttura gli aveva indicato di fruire di 6 giorni di ferie al mese, così da poter smaltire tutto l’arretrato prima del collocamento a riposo “compatibilmente con le esigenze di servizio e con le proprie”.

Nell’accogliere la critica mossa dal medico, la Corte ha dapprima ricordato che l’eventuale perdita del diritto alle ferie, che include anche il pagamento della corrispondente indennità sostitutiva in caso di cessazione del rapporto di lavoro, può realizzarsi soltanto nel caso in cui l’azienda “fornisca la prova di aver invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”.

Quindi, nello specifico, è il datore di lavoro che risulta gravato dall’onere di dimostrare:

  1. di aver organizzato le attività nel miglior modo possibile per garantire al lavoratore di poter godere del previsto periodo di riposo;
  2. di averlo invitato formalmente al godimento assicurando che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio non fossero di impedimento all’uso delle ferie.

Nessuno obbligo viene quindi individuato a carico del lavoratore di dover giustificare il motivo per cui non è andato in ferie, né tantomeno quello di dimostrare le esigenze di servizio che ne avrebbero impedito la fruizione, rimanendo tutto il carico probatorio in capo alla sola amministrazione datrice di lavoro.

Il contenuto della comunicazione dell’azienda di fruire delle ferie accumulate

Per quanto concerne il valore della comunicazione scritta ricevuta dal medico, la Corte ha approfondito la sua disamina, ritenendola del tutto inconferente rispetto all’onere di preventivo avviso previsto dal costante orientamento giudiziale, anche di matrice comunitaria

L’aver espressamente invitato il dipendente, prima della cessazione del rapporto, a smaltire il periodo di ferie residuato compatibilmente con le esigenze personali e di servizio non denota la presenza di tutte quelle caratteristiche che, invece, deve presentare una comunicazione del genere per essere considerata valida.

Manca, infatti, il requisito della perentorietà dell’invito, la preminenza dell’interesse del lavoratore rispetto a quello dell’organizzazione aziendale e, infine, l’indicazione di un termine, chiaramente diverso e precedente rispetto a quello già presumibile della cessazione del rapporto, entro il quale le ferie dovranno essere fruite, con l’espresso avvertimento della loro perdita in caso di mancato godimento.

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Monetizzazione anche in caso di cessazione del rapporto per malattia

Con il secondo motivo, il medico ricorrente censurava la sentenza per aver ritenuto che, nel caso specifico, dovesse trovare applicazione l’istituto del divieto della monetizzazione delle ferie previsto dall’art. 5, comma 8, del D.L. n. 95/2012, essendosi il rapporto di lavoro interrotto a causa della malattia contratta dal lavoratore.

Anche questo aspetto è stato adeguatamente scrutinato dalla Corte che, riprendendo le principali argomentazioni addotte dalla Corte di Giustizia europea, ha chiaramente ribadito come, in tema di pubblico impiego privatizzato, il dipendente non perde il diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità, qualora la cessazione del rapporto di lavoro sia dovuta a malattia che abbia impedito l’effettivo godimento del periodo di congedo ancora spettante.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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