Ferie non godute, Consulcesi vince ancora: rimborso immediato ad un dirigente medico

Consulcesi vince ancora: La Corte di Appello di Roma ribalta la decisione del Tribunale, riconosciuti oltre 23 mila euro al dirigente medico a titolo di indennizzo per le ferie non godute durante il servizio.

Sommario

  1. Ex dirigente medico vince in Corte d’Appello sulle ferie non godute
  2. Un caso di dimissioni volontarie: cosa dice la giurisprudenza?
  3. Il ribaltamento in Corte d’Appello: l’onere della prova è del datore di lavoro
  4. Il cambio di giurisprudenza sulle ferie non godute è definitivo

Consulcesi & Partners continua a mietere successi nella battaglia legale che, da diversi anni, sta portando avanti per garantire al mondo sanitario, impegnato nel pubblico impiego, di poter ricevere il giusto indennizzo economico per i giorni di ferie maturati durante il servizio e non goduti. 

Ex dirigente medico vince in Corte d’Appello sulle ferie non godute

Proprio in questi giorni, è stata pubblicata la sentenza n. 340/2025 con cui la Sez. Lavoro della Corte di Appello di Roma ha definitivamente accolto la domanda di monetizzazione delle ferie non godute presentata da un ex dirigente medico, ritenendo pienamente fondati i motivi di censura presentati dai legali del network di Consulcesi & Partners contro una precedente pronuncia sfavorevole resa dal Tribunale capitolino. 

Dopo una prima sfortunata decisione, il dirigente sanitario decideva infatti di rivolgersi ai consulenti legali di Consulcesi per far valutare la possibilità di appello, ricevendo così pieno sostegno sulla scorta della pluriennale esperienza favorevole maturata sul tema. 

Il risultato è stato così prontamente raccolto, avendo il Collegio completamente ribaltato l’esito del primo grado, con conseguente inesorabile condanna per la Azienda Ospedaliera al pagamento dell’indennizzo a favore del suo ex dipendente. 

Al dirigente medico, dimessosi dal servizio addirittura nel dicembre del 2015 con un residuo di 56 giorni di ferie non goduti, andranno così liquidati oltre 23 mila euro complessivi, fra indennizzo, interessi legali maturati e rimborso delle spese legali di entrambi i gradi di giudizio. 

Un caso di dimissioni volontarie: cosa dice la giurisprudenza?

Fin dal primo grado, il medico aveva dedotto che, nel corso del suo servizio presso la Azienda Ospedaliera datrice di lavoro, non aveva potuto godere interamente di tutti i periodi di ferie annuali previsti dal contratto per cui, una volta presentate le dimissioni, residuavano alla cessazione del rapporto un considerevole numero di giorno non goduti, di cui chiedeva il ristoro economico. 

L’Azienda datrice di lavoro resisteva alla domanda e la riteneva completamente infondata visto come le dimissioni fossero intervenute 3 anni dopo l’entrata in vigore della legge n. 135/2012 (conversione del D.L. 95/2012), che di fatto vietava alle strutture pubbliche di riconoscere alcuna somma a tale titolo, avendo peraltro la dirigente potuto fruire di un ampio lasso temporale per godere dei giorni accumulati, prima di decidere di presentare le dimissioni volontarie. 

Al momento di decidere il Tribunale di Roma riteneva che, malgrado i principi sanciti dalla giurisprudenza, anche comunitaria, a favore dei dirigenti pubblici, nel caso in questione dovesse trovare applicazione il divieto sancito dalla norma, poiché non era stata fornita alcuna prova della causa, non imputabile al lavoratore, che gli avrebbe impedito di fruire del periodo di congedo residuo. 

In buona sostanza, veniva affermato che, trattandosi di dimissioni volontarie, il dirigente avrebbe potuto organizzarsi per tempo e così smaltire tutti i giorni di ferie accumulati, prima che la cessazione del rapporto di lavoro diventasse efficace. 

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Il ribaltamento in Corte d’Appello: l’onere della prova è del datore di lavoro

Affidato il ricorso ad un professionista del network legale di Consulcesi, venivano tempestivamente presentati i motivi di appello sostenendo, con specifico riferimento a quanto argomentato dal Tribunale per respingere la domanda di monetizzazione delle ferie, l’evidente errore in cui era incorso per aver posto a carico del dirigente medico l’onere della prova, contrariamente a quanto stabilito dalla più recente giurisprudenza comunitaria e di legittimità. 

È bastato già solo questo appunto per condurre la Corte a ribaltare completamente la decisione del Tribunale sul presupposto che, nell'ambito del lavoro pubblico privatizzato, il dirigente (seppur munito del potere di organizzarsi le ferie autonomamente) non perde comunque il diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, tutte le volte in cui il mancato godimento delle stesse sia derivato dall’inadempimento dell’azienda datrice di lavoro ai propri obblighi organizzativi del datore di lavoro. 

Semplicemente demolito il presupposto, erroneamente cavalcato dal giudice di prime cure, per cui il lavoratore avrebbe dovuto dimostrare l’assenza di ogni sua responsabilità per non aver fruito del periodo di ferie ancora disponibile (ovvero, come si legge ancora in altri casi, delle ragioni di servizio che avrebbero impedito il legittimo godimento), per sposare l’altro – maggiormente coerente con la linea interpretativa tracciata dalla giustizia europea e fatta propria dal Collegio – che pone invece sul datore di lavoro l’onere esclusivo di dimostrare di aver esercitato appieno la sua capacità organizzativa, per consentire al dipendente l’effettivo godimento dei periodo di riposto previsti dal contratto. 

Richiamati pertanto tutti i principi ormai costantemente enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte di Appello di Roma ha quindi riconosciuto il diritto del medico ricorrente alla monetarizzazione delle ferie nel periodo in cui ha ricoperto il ruolo di dirigente nell’Azienda Ospedaliera convenuta, condannando quest’ultima al pagamento di un importo complessivo di oltre 23 mila euro, già comprensivo di interessi e rimborso delle spese di entrambi i gradi di giudizio. 

Il cambio di giurisprudenza sulle ferie non godute è definitivo

I numeri parlano chiaro: dal 2012 sono migliaia i sanitari cessati dal loro rapporto di lavoro per i motivi più svariati (pensionamento, dimissioni ecc…) i quali, avendo accumulato un numero cospicuo di giorni di ferie, si sono visti negare dalle Aziende qualsiasi compenso economico in forza del richiamo al divieto di monetizzazione previsto dall’art. 5, comma 8, del D.L. 95/2012 che, anche di recente, la stessa Corte di Giustizia europea ha duramente criticato. 

Quei medici, pensionati o comunque cessati dal loro rapporto di servizio pubblico, che non si sono dati per vinti, vedono ora finalmente aperta, anche grazie alla decisiva spinta della magistratura comunitaria, la strada per poter ottenere quanto ancora in loro diritto, favoriti da un termine di prescrizione decennale che ha iniziato a decorrere soltanto dal giorno in cui si è chiuso il rapporto. 

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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