L’inizio dell’anno giudiziario si apre con l’ennesima notizia favorevole per tutti coloro che, cessato il loro rapporto di pubblico impiego con giorni di ferie arretrati, si aspettano di ricevere il giusto indennizzo economico per il perduto diritto al riposo.
La Sezione Lavoro del Tribunale di Lecce, con la sentenza n. 65/2025, ha infatti definitivamente accolto la domanda di monetizzazione delle ferie non godute presentata dal dirigente medico, chiudendo la fase istruttoria con la sola produzione di documenti.
Non avendo la ASL fornito la prova a suo carico, la condanna è quindi giunta rapida ed inesorabile.
Al dirigente medico, entrato in quiescenza con un residuo di 175 giorni di ferie non goduti durante il servizio, andranno così oltre 47 mila euro, più rivalutazione ed interessi, con il rimborso delle spese legali sostenute.
Ferie non godute per carenza di organico: il caso di un dirigente medico in pensione
La questione portata all’esame del Giudice è fin troppo comune al mondo sanitario, venendo condivisa da migliaia di medici del nostro SSN che si trovano a vivere la stessa situazione.
Si tratta, nel caso specifico, di un dirigente medico, con incarico presso il reparto di Anestesia e Rianimazione di una struttura pubblica, che venuto a cessare il suo rapporto di lavoro per pensionamento nel marzo del 2023, lamentava all’azienda di non aver potuto fruire di 175 gg di ferie, chiedendo pertanto il pagamento della relativa indennità.
Da un canto, il dirigente affermava che tale accumulo fosse dovuto alla cronica carenza di organico esistenti, a cui aveva dovuto far fronte per garantire la prosecuzione del servizio, a cui l’azienda replicava sostenendo che, con missiva inviata a fine dicembre 2022, avesse comunque invitato lo stesso dipendente a programmare la fruizione delle ferie residuate e non godute.
Divieto di monetizzazione ferie: il principio ribadito dal Tribunale di Lecce
Poste queste premesse, il Tribunale leccese ha accuratamente riscostruito la vicenda fornendo, oltre al corretto inquadramento contrattuale, un efficace riepilogo degli ultimi approdi giurisprudenziali comunitari ed interni sul tema.
La norma che fa da cornice è l’ormai noto art. 5, comma 8, D.L. n. 95/12, a tenore del quale “le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione……..sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi”.
Di seguito, la stessa disposizione recita che il divieto di monetizzazione trova applicazione “anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età.…”.
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Ciò posto, si è quindi rimarcato che questa norma ha già superato il vaglio di costituzionalità venendo confermata, con sentenza n. 95/2016, nella parte in cui la perdita del diritto alla monetizzazione viene esclusa allorchè il mancato godimento risulti incolpevole, oltre che per il sopraggiungere di eventi imprevedibili, per l’insufficiente organizzazione del datore di lavoro, che non abbia adeguatamente tutelato il corretto esercizio del riposo al lavoratore durante il servizio.
Diversi sono poi i richiami ai più recenti pronunciamenti favorevoli espressi dalla Cassazione, laddove si è avuto cura di mettere in risalto che:
- il diritto alle ferie annuali retribuite dei dirigenti pubblici è irrinunciabile, siccome presidiato dall’art. 36 Cost. e dall’art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE.
- il dirigente che, alla cessazione del rapporto di lavoro, non abbia fruito delle ferie annuali ha diritto a un'indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un'adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo (Cass. n. 13613/2020).
- il potere del dirigente pubblico di auto organizzarsi le modalità di fruizione delle ferie non può condurre alla perdita del diritto all’indennizzo al termine del rapporto, se il datore di lavoro non sia in grado di provare di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l'organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento (Cass. n. 18140/2022).
Sempre ripercorrendo i precedenti più significativi, il Tribunale ha quindi ricordato che, proprio di recente (ord. n. 14083/2024), la Corte di Cassazione ha ribadito che sul datore di lavoro grava l'onere di dimostrare di avere esercitato la sua capacità organizzativa, in modo che il lavoratore possa effettivamente godere del periodo di congedo e, quindi, di averlo inutilmente invitato a usufruirne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle dette ferie e alla indennità sostitutiva.
La stessa Corte ha poi concluso il suo ragionamento, ritenendo insufficiente a tal fine la missiva con cui l’azienda aveva chiesto al dipendente di consumare siffatte ferie genericamente prima della cessazione del rapporto di impiego e non entro una data specificamente indicata, senza riportare l'avviso menzionato e subordinando, comunque, l'utilizzo del congedo in questione alle sue esigenze organizzative.
Ferie non godute e indennità: il limite imposto dal diritto UE
Non poteva mancare, anche per il preminente valore interpretativo, il richiamo al recente monito dalla Corte di Giustizia UE che, con la sentenza resa lo scorso 18/01/2024 (C- 218/22), ha ritenuto contrario ai principi eurounitari l’art. 5, comma 8, del D.L. 95/2012 nella parte in cui, ancorchè per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, impone il divieto di versare al lavoratore un'indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell'ultimo anno di impiego sia negli anni precedenti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà.
Ciò significa, riprendendo un altro passo del richiamato pronunciamento, che l’eventuale perdita potrà determinarsi soltanto quando il lavoratore abbia, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, deciso di non godere del periodo di ferie annuali, malgrado sia stato posto effettivamente e tempestivamente nelle condizioni di poter esercitare il proprio diritto.
Ferie non godute: l’ASL condannata a risarcire
Declinati questi principi per la soluzione del caso concreto, il Tribunale ha rigorosamente rimarcato che, a fronte della richiesta economica dell’ex dirigente, la l’ASL non avesse svolto adeguate contestazioni, né tantomeno onorato la prova posta a suo carico.
È stata ritenuta assorbente, senza quindi neppure necessità di introdurre altri mezzi istruttori, la circostanza negativa che la ASL non avesse fornito alcuna dimostrazione, necessariamente documentale, di aver tempestivamente e debitamente invitato il medico a fruire dei giorni di ferie residuati, avvisandolo parimenti del fatto che, in caso contrario, avrebbe potuto perderle alla fine del periodo di riferimento.
Alcun valore veniva poi riconosciuto alla missiva con cui, soltanto in prossimità della data del previsto pensionamento, l’azienda aveva genericamente invitato il medico a fruire delle ferie residue.
Tanto è bastato al magistrato per chiudere la fase istruttoria e considerare la causa matura per la decisione, con relativa emissione del provvedimento di condanna della Azienda sanitaria al pagamento, in favore del medico (pensionato), di oltre 46 mila euro, oltre rivalutazione ed interessi, e con vittoria delle spese di giudizio.