L’intelligenza artificiale sta cambiando profondamente il modo in cui si fa medicina. Non solo nei grandi ospedali o nei centri di ricerca, ma anche in contesti più fragili, come le aree rurali o svantaggiate, dove la carenza di risorse e la distanza dai servizi sanitari sono problemi concreti. Abbiamo chiesto al dottor Guido Fabbri, fiduciario FIMMG Asl Roma 6, come l’IA possa davvero fare la differenza sul campo e quali strategie possano essere adottate per coinvolgere anche i professionisti meno avvezzi alla tecnologia.
L’IA nelle aree rurali
In che modo l'intelligenza artificiale può migliorare l'accesso alle cure nelle aree rurali o svantaggiate?
“L’intelligenza artificiale, attraverso un risparmio di tempo e un accorciamento delle distanze, può aiutare medici e infermieri a raggiungere i propri assistiti anche nelle zone più remote. Ci offre strumenti per monitorare i pazienti, per porre loro domande, per vederli in volto e intervistarli a distanza. E, grazie a dispositivi come smartwatch o altri rilevatori di parametri vitali, possiamo avere sempre a disposizione dati clinici aggiornati, cosa che attualmente è molto più difficile da ottenere con gli strumenti tradizionali.”
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Serve una “evangelizzazione” informatica
Quali strategie possono essere adottate per incentivare l'uso dell'intelligenza artificiale da parte dei professionisti sanitari meno esperti dal punto di vista tecnologico?
“Sicuramente serve una vera e propria ‘evangelizzazione’ informatica. È necessario organizzare corsi di formazione, come FAD o ECM, già all’interno del percorso formativo del medico. Un altro aspetto fondamentale riguarda la semplicità d’uso: le piattaforme devono essere intuitive, accessibili anche a chi ha poca dimestichezza con la tecnologia. E poi c’è la questione dei costi: molti medici, in particolare quelli di medicina generale, hanno già tante spese. Le soluzioni digitali devono essere gratuite o, almeno, facilmente sostenibili economicamente.”