Sanità, il 37,6% dei medici pronto a lasciare il Ssn per lavorare con le coop. Ps sull’orlo del baratro

Sommario

  1. Quici: “Quadro emerso dal sondaggio desta preoccupazione”
  2. Cooperative, tutte le criticità
  3. Gli aspetti presi in considerazione dai camici bianchi
  4. “Valorizzare la professione medica”
  5. Pronto soccorso italiani sull’orlo del baratro
  6. Nei dipartimenti d’emergenza mancano 5mila unità

Quanti sono i medici pronti a lasciare il posto fisso in ospedale per lavorare come gettonisti? Circa 4 su 10. È il risultato emerso da un sondaggio flash proposto dalla Federazione CIMO-FESMED ad un campione di 1000 medici: di questi, il 37,6% ha dichiarato di essere pronto a dimettersi da dipendente del Servizio sanitario nazionale per lavorare con una cooperativa. Percentuali che risultano maggiori tra i camici bianchi più giovani (è disposto a lavorare per le coop il 50% di chi ha meno di 35 anni ed il 45% dei dottori tra i 36 ed i 45 anni) e che comprensibilmente si riducono tra i medici più anziani, più vicini alla pensione: “solo” il 28% degli over 55 infatti preferirebbe lavorare a gettone. Interessanti anche le differenze registrate sulla base dei reparti di appartenenza: a sorpresa, i più desiderosi di fuggire verso le cooperative sono i medici che lavorano nell’area dei servizi (che rappresentano il 46% di coloro che dichiarano di voler lavorare come gettonisti), seguiti da chi lavora in emergenza (42%), dai chirurghi (40%) e, infine, dall’area medica (32%).

Quici: “Quadro emerso dal sondaggio desta preoccupazione”

 

“Il quadro emerso dal sondaggio non può non destare preoccupazione – commenta Guido Quici, Presidente della Federazione CIMO-FESMED che riunisce le sigle ANPO-ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED -. È la rappresentazione plastica del disagio dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale che iniziano a vedere nelle coop l’unica ancora di salvezza per uscire da un sistema e da un’organizzazione del lavoro ormai insopportabili. Ma se queste percentuali dovessero trasformarsi in dimissioni reali, ci ritroveremmo dinanzi al tramonto definitivo del Servizio sanitario nazionale, svuotato di molte delle sue professionalità e affidato in buona parte a società private che nessuno regola né controlla”.

Cooperative, tutte le criticità

 

Sono numerose infatti le criticità relative alle cooperative che la Federazione CIMO-FESMED, aderente a CIDA, denuncia da tempo: l’assenza di trasparenza in merito al percorso formativo dei medici proposti, che spesso sono neolaureati senza alcuna specializzazione; l’impossibilità di controllare il rispetto della normativa sull’orario di lavoro ed il riposo obbligatorio tra un turno e l’altro, che mette a rischio la sicurezza delle cure e, quindi, i pazienti; la difficoltà di inserirsi in un contesto lavorativo ogni volta diverso, che segue regole, protocolli e un’organizzazione che solo un dipendente può conoscere bene e rispettare; l’ingiustizia di far guadagnare al gettonista anche il triplo di quello che guadagna un dipendente nel corso del medesimo turno di servizio, avendo inoltre un carico di responsabilità inferiore.

Gli aspetti presi in considerazione dai camici bianchi

 

Sebbene l’aspetto retributivo, e quindi la possibilità offerta dalle cooperative di guadagnare molto di più lavorando molto di meno, sia uno dei motivi principali che spinge sempre più medici verso le prestazioni a gettone, in realtà per il 52,4% dei medici che hanno risposto al sondaggio sono altri gli aspetti che inducono a valutare la possibilità di lavorare con le coop: primo fra tutti, la certezza di poter gestire meglio il proprio tempo, di migliorare la qualità della propria vita, di avere maggiore autonomia e flessibilità, di dover svolgere una quantità minore di compiti burocratici.

“Valorizzare la professione medica”

 

“Lo ripeto ancora una volta – conclude Quici -: se non si valorizza la professione medica, adeguando gli stipendi alla media europea, migliorando le condizioni di lavoro in ospedale e dando concrete possibilità di carriera, tra pochi anni dovremo celebrare il funerale del Servizio sanitario nazionale. Occorre intervenire subito, perché forse è già troppo tardi”.

Pronto soccorso italiani sull’orlo del baratro

 

E mentre la Federazione CIMO-FESMED diffonde questi dati non rassicuranti, la Società italiana medicina d’emergenza-urgenza (Simeu) si ritrova a Roma per protestare contro la grave carenza di personale nei Pronto soccorso, a causa della quale i dipartimenti di emergenza rischiano di collassare. L’obiettivo è quello di “richiamare l’attenzione del nuovo ministro della Salute Orazio Schillaci rispetto all’attuale situazione di crisi dei pronto soccorso e 118 italiani che richiederebbe provvedimenti urgenti mirati ai bisogni reali accompagnati da una visione strutturale nel medio-lungo termine”.

Nei dipartimenti d’emergenza mancano 5mila unità

 

“Serve un aiuto immediato sugli organici dei dipartimenti di emergenza, mancano 5mila unità, in questo momento anche un incremento di mille potrebbe essere una boccata d’ossigeno in una situazione di crisi ma serve un intervento del ministro della Salute su questo fronte”, sottolinea Fabio De Iaco, presidente della Simeu.

“Oltre agli organici – aggiunge – occorre un lavoro di incentivo, non solo economico, per attrarre i giovani verso questa specializzazione, ovvero un miglioramento delle condizioni di lavoro nei pronto soccorso insieme con un miglioramento dell’accoglienza dei pazienti, in ottica tempi di attesa e affollamento. E poi con una visione a lungo termine ridiscutere il sistema dell’emergenza-urgenza a livello nazionale perché sono cambiati alcuni scenari della salute della popolazione”.

Di: Redazione Consulcesi Club

Argomenti correlati