Infermiere professionale adibito al ruolo di Oss: quando ricorre il demansionamento professionale

Le croniche carenze di personale sociosanitario hanno indotto diverse strutture a rivolgersi agli infermieri per lo svolgimento di prestazioni non conformi al loro profilo professionale. Quando si parla di demansionamento e cosa fare per tutelarsi?

Sommario

  1. I profili lavorativi in contesa 
  2. L’orientamento della Cassazione in caso di demansionamento
  3. La prova del danno da demansionamento

Spesso viene registrata la voce di molti infermieri professionali che lamentano di venir adibiti, a causa di perduranti carenze di personale sociosanitario nelle strutture, allo svolgimento di mansioni igieniche, domestiche ed alberghiere (come, ad esempio, il riordino dei letti, le incombenze igieniche, il trasporto dei pazienti etc.) non rientranti tra quelle previste dal loro specifico profilo lavorativo. 

Questa situazione, se duratura e strutturata, può cagionare un demansionamento professionale del dipendente coinvolto, che pertanto potrà adire l’autorità giudiziaria per reclamare, previo accertamento dell’illegittimità della condotta datoriale, la condanna di quest’ultimo al ripristino della corretta assegnazione alle mansioni consone al profilo rivestito, con conseguente risarcimento dei danni concretamente patiti.

I profili lavorativi in contesa 

Riprendendo il testo del D.M. 793/94, si legge che l'infermiere professionale “è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale è responsabile dell'assistenza generale infermieristica”. L’infermiere, secondo la descrizione contenuta nel richiamato disposto normativo, svolge principalmente le seguenti funzioni:

a) partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività;

b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi;

c) pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico;

d) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche;

e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali;

f) per l'espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell'opera del personale di supporto;

g) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell'assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero professionale e, infine, contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca.

Da rimarcare che, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva, appartengono alla categoria professionale infermieristica quei lavoratori che ricoprono posizioni di lavoro che richiedono, oltre a conoscenze teoriche specialistiche e/o gestionali in relazione ai titoli di studio e professionali conseguiti, autonomia e responsabilità proprie, capacità organizzative, di coordinamento e gestionali caratterizzate da discrezionalità operativa.

Per contro, il profilo dell’Operatore Socio-Sanitario gli attribuisce un ruolo ausiliare del medico e del personale infermieristico nello svolgimento delle sue attività dedicandosi, in ambito ospedaliero, ai bisogni primari del paziente, nonché alle attività igienico-domestico-alberghiere di quest'ultimo. 

Ciò significa, come peraltro rimarcato varie volte dalla giurisprudenza, che malgrado non si possa considerare esistente una vera e propria struttura gerarchica, è evidente come l’infermiere debba essere adibito, anche per il percorso formativo svolto per accedere alla professione, a mansioni maggiormente qualificate e, quindi, superiori rispetto al personale di supporto.

L’orientamento della Cassazione in caso di demansionamento

Alla luce di quanto sopra, ne consegue che l’assegnazione dell’infermiere professionale allo svolgimento di compiti non rientranti nel descritto profilo può entrare in collisione con i principi ripetutamente affermati dalla Corte di Cassazione, per cui tale situazione si deve considerare legittima soltanto nell’ipotesi in cui siffatto spostamento sia dovuto ad esigenze di servizio del tutto momentanee, risultando comunque assicurato, in modo prevalente ed assorbente, l'espletamento di quelle concernenti la qualifica di appartenenza. 

Ciò significa che l’infermiere può essere adibito a mansioni inferiori, ma unicamente a condizione che si tratti di un impegno di breve durata ed occasionale (in buona sostanza, marginale), dovendosi sempre garantire che lo stesso professionista svolga in maniera prevalente ed assorbente le competenze sue proprie.

La motivazione della carenza di personale Oss, su cui si fonda di regola la difesa datoriale, deve quindi essere accuratamente ponderata, non potendola considerare, di per sé, sufficiente a legittimare la richiesta all’infermiere di svolgere mansioni inferiori al proprio profilo, soprattutto quando questa esorbiti dall’eccezionalità del momento assumendo caratteristiche di continuità e stabilità.

La prova del danno da demansionamento

Chiariti i requisiti che devono sempre sussistere quando un infermiere voglia far accertare, in sede giudiziale, di aver subito un demansionamento professionale, diventa poi oltremodo necessario approfondire l’aspetto della prova del danno che, spesso, non viene altrettanto curata, auspicandosi il ricorso all’equità del magistrato non sempre applicabile.

La Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che, in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del conseguente danno professionale, biologico o esistenziale, non potendo ricorrere automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, deve essere oggetto di specifiche e puntuali allegazioni che spieghino la natura e le caratteristiche del singolo pregiudizio reclamato. 

Una volta allegate le circostanze specifiche, da cui desumere che il lavoratore ha subito un effettivo impoverimento delle proprie capacità professionali per il mancato esercizio quotidiano del suo diritto di aumentare le sue capacità, sarà quindi possibile per il magistrato ricorrere al parametro della retribuzione quale criterio orientativo della valorizzazione equitativa del danno sofferto dal dipendente.

In tal caso, verranno in soccorso nella valutazione equitativa del danno, oltre al criterio della durata della dequalificazione, i motivi del provvedimento di demansionamento, la notorietà e risonanza nell'ambiente specifico, l'elemento intenzionale del datore di lavoro e, infine, la gravità del demansionamento, collegato al divario tra le mansioni svolte prima e quelle successiva all’ordine impartito dalla parte datoriale.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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