Già condannata in primo grado al pagamento, a favore di un suo ex dirigente medico, di oltre 28 mila euro, con relativa regolarizzazione contributiva, una ASL capitolina ha voluto impugnare la decisione sfavorevole ritenendola erronea nella parte in cui era stata accolta la domanda di pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute, sostenendo presunti errori nell’applicazione delle norme regolatrici e dei criteri di riparto dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.
La ferrea difesa approntata dai legali del network di Consulcesi a tutela degli interessi del proprio cliente ha trovato pieno accoglimento, venendo completamente disattese le ragioni dell’azienda ad ulteriore conforto del principio generale che vuole, sempre più, riconosciuto il diritto degli operatori sanitari ad ottenere la monetizzazione dei periodi di riposo non goduti durante il servizio.
I motivi di appello della Asl sulla monetizzazione delle ferie
Due, in sintesi, le ragioni di censura mosse alla sentenza di primo grado:
- per aver errato nell’imputare alla azienda sanitaria ogni onere probatorio, anche in ragione del presupposto, stabilito dall’art. 21 C.C.N.L. 1996, della imputabilità del mancato godimento ad effettive ed indifferibili esigenze di servizio, formalmente comprovate, o comunque a causa di ragioni indipendenti dalla volontà del dirigente;
- per aver disapplicato quanto previsto, in materia di revisione della spesa pubblica, dall’art. 5, comma 8, del d.l. 95/2012 conv. in l. 135/2012, contenente il divieto espresso di monetizzazione delle ferie non godute se non in casi specifici.
Nello specifico, la Azienda sanitaria osservava come, a suo dire, l’ex dipendente non avesse compiutamente spiegato le ragioni di fatto che gli avrebbero impedito di godere delle ferie, eventualmente imputabili ad esigenze di servizio ovvero ad una qualche condotta ostativa di matrice datoriale.
Inoltre, si contestava la circostanza per cui, trattandosi di dirigente medico, costui godesse comunque di ampia autonomia nella programmazione delle ferie, con conseguente assunzione di un certo grado di autoresponsabilità nel goderle in modo pieno ed effettivo e che la mancata fruizione avrebbe dovuto essere ascritta unicamente a sé stesso.
La decisione della Corte d’Appello di Roma sulla monetizzazione delle ferie
Con articolata motivazione, la Corte di Appello di Roma con sentenza n. 4190/2024 ha completamente respinto tutte le ragioni addotte dall’Amministrazione pubblica, ritenendole del tutto infondate e comunque non adeguatamente dimostrate, così confermando la pronuncia di condanna al pagamento in favore dell’ex dirigente medico della somma di oltre 28 mila euro, oltre alla regolarizzazione previdenziale, a titolo di indennizzo per i giorni di ferie maturati e non goduti nel periodo di prestato servizio dal 2014 fino alla cessazione del rapporto di lavoro, giunta nel 2019, con relativa pronuncia favorevole anche in termini di rimborso delle spese legali sostenute.
Il quadro normativo sulle ferie non godute: cosa dice la legge
Ricostruendo il quadro regolatorio relativo alla richiesta di monetizzazione delle ferie non godute, accumulate nel periodo 2014-1019, la Corte ha voluto specificare come, ratione temporis, il godimento delle ferie del dirigente medico fosse disciplinato, a livello di contrattazione collettiva, dall’art. 21 C.C.N.L. 1996, comma 8, secondo cui “Le ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili, salvo quanto previsto nel comma 13. Esse sono fruite, anche frazionatamente, nel corso di ciascun anno solare in periodi programmati dallo stesso dirigente nel rispetto dell’assetto organizzativo dell’azienda o ente; in relazione alle esigenze connesse all’incarico affidato alla sua responsabilità, al dirigente è consentito, di norma, il godimento di almeno 15 giorni. continuativi di ferie nel periodo dal 1 giugno al 30 settembre”.
Il successivo comma 13 prevedeva altresì che: “Fermo restando il disposto del comma 8, all’atto della cessazione dal rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti a tale data non siano state fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dirigente, l’azienda o ente di appartenenza procede al pagamento sostitutivo delle stesse”.
Volgendo poi lo sguardo alla normativa di rango primario, si è quindi aggiunto che l’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95 del 6 luglio 2012, conv., con modif., dalla legge n. 135 del 2012, ha però stabilito che: “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (…), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile”.
La giurisprudenza sulle ferie non godute: i precedenti rilevanti
Il rapido excursus del panorama giurisprudenziale ha poi preso le mosse dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 95/2016 che, nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità sollevata riguardo al menzionato art. 5 per violazione degli artt. 3, 36, commi 1 e 3, e 117, comma 1, Cost., aveva sottolineato l’errore commesso dal giudice remittente, nel ritenere il divieto esteso anche ai casi in cui il lavoratore non avesse potuto godere delle ferie per malattia o per altra causa non imputabile.
Si è quindi posta l’attenzione sulla necessità (divenuta, peraltro, sempre più impellente sulla scorta delle ultime pronunce rese dalla Corte di Giustizia Europea nei confronti della normativa italiana) di interpretare il divieto descritto dall'art. 5, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012 in modo conforme con l’ordinamento comunitario e, più precisamente, con i principi dettati dall’art. 7, comma 2, della direttiva 2003/88/CE, che testualmente prevede che “Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo nel caso in cui il rapporto di lavoro sia terminato".
Riprendendo gli approdi raggiunti dalla Corte di Cassazione, si è così ricordato che il diritto alle ferie annuali retribuite dei dirigenti pubblici, in quanto finalizzato all'effettivo godimento di un periodo di riposo e di svago dall'attività lavorativa è comunque irrinunciabile, avendo a presidio gli artt. 36 Cost. e 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE.
Pertanto il dirigente il quale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non ne abbia fruito, ha diritto a un'indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un'adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo.
Si sono poi espressamente richiamati, proprio per sgombrare il campo da qualsiasi distorta interpretazione del ruolo dirigenziale con le relative implicazioni erratamente dedotte dall’Azienda sanitaria, alcuni precedenti conformi della Corte di Cassazione per ribadire che:
La decisione della Corte di Appello: conferma del diritto al risarcimento
Poste tali premesse, la Corte ha quindi risolto il problema presentato dall’Azienda sanitaria, respingendo integralmente le sue stese doglianze.
In primo luogo, si è infatti ritenuto che la decisione di primo grado meritasse ampia conferma, nella parte in cui aveva riconosciuto il diritto dell’ex dirigente medico all’indennità sostitutiva delle ferie non godute per il periodo in cui era risultata assente per malattia, trattandosi di episodio comunque non imputabile alla lavoratrice, con conseguente inapplicabilità del divieto di cui all’art.5, comma 8, d.l. 95/2012.
Stesse conclusioni anche per il periodo di ferie maturato prima della malattia e comunque non fruito dal dipendente, rimarcando in questo caso come la Azienda sanitaria non avesse, relativamente a tale diverso periodo, assolto all’onere sulla stessa gravante, alla stregua dei principi giurisprudenziali precedentemente enunciati, di avere messo l’ex dirigente medico nelle condizioni di esercitare il diritto in questione, mediante un'adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo.
Tanto più – afferma la Corte – questa prova si rendeva necessaria per la circostanza che lo stesso dirigente avesse specificatamente allegato l’esistenza di carenze di organico dell’unità presso cui prestava servizio.
Soffermandosi infine sulla questione, per cui l’ex dipendente godesse del potere di autodeterminarsi il periodo di ferie, la Corte ha ritenuto la deduzione completamente irrilevante, mancando peraltro ogni tempestiva contestazione sul punto durante il giudizio di prime cure.