Ricette delegate al farmacista, cosa rischia il medico?

Facciamo il punto su un tema affrontato tempo fa dalla Cassazione, ovvero la liceità o meno, da parte del medico, di delegare al farmacista la compilazione delle ricette.

Sommario

  1. Prescrizioni farmacologiche firmate in bianco: cosa succede?
  2. Il ricorso in cassazione del medico e dei farmacisti

Esistono, anche nella professione del medico, alcuni adempimenti apparentemente burocratici che, se gestiti con leggerezza, possono portare a severe condanne penali. Ci riferiamo a comportamenti che rischiano di ingenerare, ad esempio, reati quali la falsità ideologica in certificazioni amministrative (Art.480 del Codice Penale), che può comportare sino a due anni di reclusione.
Per trattare la questione, prendiamo spunto da una vecchia sentenza della Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, del febbraio/marzo 2011, la n.13315.

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Prescrizioni farmacologiche firmate in bianco: cosa succede?

L’episodio all’origine della vicenda giudiziaria che ha visto esprimersi i giudici del supremo grado, risale al primo decennio del nuovo secolo, e vede protagonisti un medico generico della ASL e due farmacisti.
Al fine di agevolare le cure dei propri pazienti affetti da patologie croniche, il medico consegnava ricettari timbrati e firmati completamente in bianco ai due farmacisti, i quali si preoccupavano di compilare le singole prescrizioni al bisogno: il paziente giungeva in farmacia con la scatola del farmaco vuota, il farmacista consegnava una nuova confezione in regime di convenzione e, grazie ad un agenda contenente le generalità dell’assistito, compreso il relativo codice sanitario regionale, la ricetta veniva debitamente compilata e quindi spedita all’amministrazione competente per il rimborso. La Corte parla di ben 13.490 prescrizioni gestite tramite questo inconsueto protocollo.Una storia che non sarebbe probabilmente mai emersa, se non vi fosse stato in precedenza un controllo ispettivo da parte della ASL nelle due farmacie.

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Il ricorso in cassazione del medico e dei farmacisti

Il medico di base ed i due farmacisti ricorrono in Cassazione per contestare la propria responsabilità. I reati, pur essendo infatti caduti in prescrizione, avrebbero portato comunque, se confermati, ad un congruo risarcimento delle parti civili.
Secondo i ricorrenti non vi sarebbe stata alcuna falsità ideologica nel procedere così come è stato fatto, poiché l’operato incriminato riguardava esclusivamente pazienti affetti da patologie croniche, nei confronti dei quali il medico di base aveva comunque predisposto un regolare piano terapeutico. Per la Corte, però, ciò che sarebbe venuto a mancare nel caso in specie, è il fatto che il medico non abbia maturato alcuna valutazione diagnostica alla base di ogni singola prescrizione farmacologica. Come riportato in sentenza, “[d]eve essere dunque il medico - e solo il medico -, acquisiti tutti gli elementi necessari per una esauriente valutazione clinica del caso, a decidere se prescrivere o meno il farmaco ovvero, se del caso, mutare una precedente prescrizione farmacologica.” Inoltre, v’è da tener presente un’ulteriore finalità propria della prescrizione farmacologica da parte del medico, relativa allo smercio dei farmaci in convenzione, ossia l’autorizzazione a far sostenere un onere finanziario al Servizio Sanitario Nazionale. Va da sé, pertanto, che il professionista sanitario, nell’atto del prescrivere un determinato farmaco, ha anche l’obbligo di valutare il caso sulla base di criteri di economicità e di riduzione degli sprechi. Non è infatti un caso che ogni singola ricetta consenta di prescrivere un numero limitato di confezioni (tre pezzi, secondo quanto disposto dall’Art.9 del Decreto-Legge 347/2001), al fine di garantire la terapia per un tempo limitato (60 giorni di terapia) anche per le patologie croniche. La necessità implicita di effettuare, da parte del medico curante, controlli e verifiche sul paziente prima di procedere a rinnovare le terapie con nuove prescrizioni è, nei fatti, venuta meno.
La Corte di Cassazione, pertanto, conferma il reato di falsità ideologica in certificazioni amministrative, nonostante la prescrizione sopravvenuta, condannando i ricorrenti a risarcire le parti civili.

Una pratica di tipo burocratico-amministrativo, come quella della prescrizione farmacologica, può quindi portare a gravi conseguenze penali e civili, se gestita con troppa superficialità. Fortunatamente il professionista può contare su opportune tutele assicurative, a copertura della propria responsabilità professionale e a garanzia della propria difesa penale. Per avere un quadro esauriente su come proteggersi al meglio, è sempre comunque opportuno affidarsi a professionisti della consulenza assicurativa, quali sono i membri dello staff di SanitAssicura.

Di: Riccardo Cantini, intermediario assicurativo

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