La distrofia muscolare di Duchenne è una malattia genetica rara e progressiva. Attualmente non esiste una cura per la DMD, ma sono disponibili trattamenti per rallentarne la progressione e migliorare la qualità di vita dei pazienti, tra cui Translarna (Ataluren). Questo farmaco è utilizzato da 10 anni da pazienti sopra ai 2 anni; tuttavia, il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell'EMA, di recente e dopo l’ultimo riesame, non ne ha rinnovato l'autorizzazione all'immissione in commercio nell'UE.
Ripercorriamo la storia di Traslarna nella video-intervista con Filippo Buccella, Responsabile Parent Project, un’associazione di pazienti e genitori con figli affetti da distrofia muscolare di Duchenne e Becker che lavora per migliorare il trattamento, la qualità di vita e le prospettive a lungo termine di bambini e ragazzi attraverso la ricerca, l’educazione, la formazione e la sensibilizzazione. Gli obiettivi dell’associazione sono quelli di affiancare e sostenere le famiglie dei bambini che convivono con queste patologie attraverso una rete di Centri Ascolto, promuovere e finanziare la ricerca scientifica al riguardo e sviluppare un network collaborativo in grado di condividere e diffondere informazioni chiave.
“Ho un figlio con distrofia di Duchenne, che oggi ha 34 anni e abbiamo scoperto circa trent'anni fa che aveva questa patologia. Una malattia molto grave che, ai tempi in cui ci è stata diagnosticata, ci diceva che avrebbe perso la deambulazione intorno ai nove dieci anni. E così è stato e probabilmente sarebbe morto prima dei vent'anni. Per fortuna, al di là delle terapie che ancora non ci sono, sono state promosse tante prese in carico - supporto da un punto di vista respiratorio e da un punto di vista cardiaco e tutta un'altra serie di conoscenze che oggi per fortuna abbiamo – e hanno fatto sì che il panorama sia cambiato. È chiaro che la ricerca sui farmaci è ancora un punto estremamente doloroso e in particolare la storia di Ataluren (Traslarna) è un punto particolarmente doloroso per la nostra comunità, perché è stato il primo farmaco che è stato approvato per la distrofia di Duchenne con un'approvazione condizionata, perché essendo una malattia rara, il numero dei pazienti è troppo poco. Non si seguono le stesse regole dei farmaci tradizionali, quelle previste per tutte le malattie. Parliamo, infatti, di sperimentazioni nelle quali i pazienti sono 30-40, mentre in quelle normali i pazienti sono forse 3000 4000, numeri completamente diversi. Il problema però qual è? Che a distanza di dieci anni questo farmaco ha avuto tre rinnovi della sua autorizzazione quindi le famiglie sono state “illuse” da questo punto di vista se vogliamo utilizzare questa parola, che forse non è esattamente lo scopo per il quale l'Ema ha lavorato. Il problema è che l'Ema non ha gli strumenti per poter lavorare nell’ambito di queste malattie così complicate. Noi crediamo che debba essere fatto un lavoro insieme all'associazione, ai clinici, ai pazienti e insieme all'Ema, per poter sedersi al tavolo e trovare delle soluzioni alternative per la valutazione di questi farmaci. Si parla di pochissimi pazienti, quindi quando la sicurezza di questi farmaci è garantita, si potrebbe fare uno studio di tre anni con raccolta di dati, in accordo con EMA, per cercare di capire se ci sono segnali positivi piuttosto che dividere tra approvare e non approvare. Non parliamo di approvazioni che cambiano la vita, ma di soluzioni che possono rappresentare una piccola differenza".
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Quali sono le implicazioni per i pazienti dopo il parere negativo di Ema su Traslarna?
“A valle di trent'anni di storia, secondo noi, quello che conta in questo momento è una presa in carico multidisciplinare dei pazienti in cui non si tenga presente solo della deambulazione, ma si tengano presente tutta un'altra serie di possibilità e di capacità che devono essere mantenute e che sono quelle che poi alla lunga fanno la differenza tra la vita e la morte. Indubbiamente in questo contesto, la ricerca va avanti e quindi avere strumenti diversi per capire se un farmaco funziona o no ci aiuteranno a lavorare meglio nel futuro. Bisogna sedersi al tavolo con l'Ema e trovare una soluzione alternativa di valutazione”.