Imposta sui redditi e somme corrisposte al medico specialista per le spese di viaggio

Le spese di viaggio sostenute dal medico per spostarsi tra diversi ambulatori non devono concorrere al reddito imponibile. Approfondiamo il tema con un articolo a cura del Prof. Dott. Marco Ginanneschi.

Sommario

  1. Quali sono le somme che concorrono al reddito del dipendente?
  2. La giurisprudenza della Cassazione sulle spese di viaggio casa-lavoro
  3. Come quantificare i rimborsi per le spese di viaggio

L’art. 51 comma 5 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) prevede la non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente delle somme erogate ai lavoratori a titolo di rimborso delle spese di viaggio e di trasporto corrisposte in caso di trasferte effettuate partendo dal luogo di lavoro verso località ubicate fuori dal Comune per motivi di servizio.

Quali sono le somme che concorrono al reddito del dipendente?

La previsione del rimborso delle spese di viaggio sostenute dal lavoratore dipendente per il tragitto casa-lavoro non rientra nella disciplina dell’art. 51 comma 5 del TUIR, quantomeno secondo la tesi tradizionalmente sostenuta dall’Erario.

Queste ultime somme concorrono quindi alla formazione del reddito di lavoro dipendente.

La differenza, secondo questa tesi, è da ricercare nella causa dello spostamento del lavoratore:

  • nel caso di trasferte, lo spostamento dalla sede di lavoro al luogo della trasferta è su interesse esclusivo del datore di lavoro;
  • nel caso dello spostamento dalla casa di residenza al luogo di lavoro, invece, esso avviene fuori dall’orario di lavoro e ha come luogo di partenza un luogo scelto dal lavoratore, vale a dire la sua abitazione.

Il legislatore, all’art. 51 co. 5 del TUIR e in merito al lavoratore dipendente, ha inoltre “differenziato la situazione in cui questi viene retribuito in modo forfettario e quindi approssimativo (e in tal caso opera il principio di omni comprensività dei redditi) dalla situazione in cui questi non viene retribuito ma risarcito in modo analitico poiché gli viene riconosciuto il ristoro delle sole spese di viaggio, appunto analiticamente determinate, e non di altre spese che pure potrebbe sostenere nell’esecuzione dell’attività lavorativa”.

Esiste quindi un contrasto interpretativo generato dal trattamento fiscale delle indennità corrisposte dal datore di lavoro ai propri dipendenti per le spese di viaggio sostenute al fine recarsi dalla propria residenza al luogo di lavoro.

La giurisprudenza della Cassazione sulle spese di viaggio casa-lavoro

Nell’ordinanza n. 23634 del 28 luglio 2022 la Cassazione con riferimento alle spese sostenute per il tragitto casa lavoro fuori dal Comune di residenza, ha confermato che trattasi di un mero rimborso delle spese, parametrato al chilometraggio e non corrisposto in misura forfetaria, pertanto l’importo riconosciuto al dipendente non deve essere tassato in quanto ha natura risarcitoria e non retributiva. In sostanza, deve trattarsi di rimborso chilometrico basato sulle tariffe ACI, senza che siano previste somme aggiuntive, che avrebbero invece natura retributiva.

Nell’ordinanza suindicata la causa ha riguardato le indennità corrisposte da un’ASL a un medico specialista ambulatoriale per le spese di viaggio sostenute per raggiungere i vari distretti sanitari partendo dalla propria residenza, fattispecie peraltro disciplinata dall’art. 46 del contratto collettivo dei medici ambulatoriali.

La Cassazione ha rigettato la tesi, tradizionalmente sostenuta dagli uffici ed in particolare dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione del 21 dicembre 2015 n. 106, in base alla quale anche queste somme sono tassate.

Tuttavia, occorre precisare che quanto affermato dalla Cassazione costituisce un principio generale, come evidenziato anche nell’ordinanza n. 19099/2022 che merita anch’essa di essere esaminata perché si è occupata di un dipendente del settore privato (ENEL).

Nel caso di specie il datore di lavoro, a seguito di un trasferimento, aveva deciso di rimborsare le spese di viaggio casa-lavoro, assoggettandole prudenzialmente a imposizione. Il dipendente aveva chiesto il rimborso delle maggiori imposte e, a seguito di diniego, aveva proposto ricorso.

Si ribadisce che dal punto di vista normativo, l’art. 51 comma 5 del TUIR disciplina le spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale, mentre non si occupa espressamente dei rimborsi spese per il tragitto casa-lavoro, per i quali dovrebbero valere le regole generali. A ben vedere, il legislatore si occupa, escludendolo da tassazione, solo di trasporto collettivo, ma tale previsione, come si dirà, non sembra avere valenza interpretativa.

Per i giudici di legittimità, l’indennità di trasferta, forfetaria, non è tassata in quanto ha “finalità di ristoro patrimoniale per il maggior disagio connesso al prestare le proprie energie lavorative al di fuori dell’abituale (e consensualmente convenuta) sede di lavoro, rimanendo ben distinta dalle spese di viaggio che sono gli importi spesi per raggiungere il luogo dove eseguire la prestazione, in deroga all’abituale sede. Entrambe non esprimono capacità contributiva; tuttavia, per non perdere la propria natura, l’indennità deve rimanere entro determinati valori prefissati in sede normativa o di organizzazione generale, diversamente aprendosi la strada a surrettizie lievitazioni dei compensi”.

Pertanto, è stata condivisa la decisione del giudice di appello, “avendo ritenuto l’esenzione da imposta del rimborso per le spese di viaggio per la diretta commisurazione al chilometraggio percorso, anche se in misura unitaria forfettaria per chilometro”.


Dunque, sia i rimborsi spese per trasferta (spostamento dalla sede di lavoro ad altro luogo) che quelli per il tragitto casa-lavoro (spostamento dalla residenza del lavoratore al luogo di lavoro) non sono imponibili, avendo natura meramente risarcitoria.


Il riferimento al principio di capacità contributiva appare particolarmente persuasivo e sembra implicitamente escludere che si possa proporre una diversa interpretazione della disposizione in materia di servizi di trasporto collettivo, in base al quale i rimborsi casa lavoro dovrebbero essere imponibili. Nell’interpretazione delle norme del TUIR non ci si può spingere fino al punto di sostenere la tassazione di somme che hanno natura meramente restitutoria per il solo fatto che alcune fattispecie aventi tale natura sono state disciplinate e altre no.

Pertanto, la Cassazione con ordinanza n. 23634 del 28 luglio 2022 ha aderito all’orientamento della giurisprudenza di legittimità (vedi appunto anche ordinanza n. 19099/2022) in forza della quale in tema di imposte sui redditi, le somme corrisposte per spese di viaggio effettivamente sostenute per lo svolgimento dell’incarico di medico specialista presso gli ambulatori esterni al comune di residenza sono percepite a titolo di rimborso spese, sicché hanno funzione restitutoria e di ripristino del patrimonio del prestatore d’opera e non sono assimilabili alla retribuzione, né assoggettabili ad imposta ai sensi dell’art. 48 del DPR 29.9.1973, n. 597, e dell’art. 48 del DPR 29.9.1986, n. 917, poiché la loro quantificazione è determinata non con criterio forfettario, ossia sganciata dall’effettivo esborso sostenuto dal prestatore d’opera, ma con specifica parametrazione al chilometraggio percorso ed al costo del carburante rilevato.

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Come quantificare i rimborsi per le spese di viaggio

Pertanto, condizione fondamentale è che i rimborsi non siano quantificati con criterio forfetario, ma con specifica parametrazione rispetto al chilometraggio effettivamente percorso e al costo del carburante (parametrazione che, in forza dell’assetto normativo vigente, solitamente avviene sulla base delle tariffe ACI). Lo stesso principio vale anche nel caso in cui il rimborso sia relativo ad altro tipo di viaggio analiticamente documentabile (taxi, biglietti del treno, ecc.).

 

Di: Prof. Dott. Marco Ginanneschi Commercialista-revisore legale e fondatore di Sercam Advisory

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