Il ‘neck pain’, o più comunemente ‘mal di collo’, è un disturbo che può avere cause specifiche o aspecifiche. A seconda delle problematiche ad esso correlate o della sua eziologia, il paziente affetto da ‘neck pain’ può essere preso in carico da diversi professionisti sanitari. In particolare, il fisioterapista si occupa di inquadrare e gestire il paziente che presenta cervicalgia aspecifica, “cercando di individuare i vari impairment (danni o alterazioni) del paziente durante la valutazione fisioterapica, al fine di procedere con la costruzione di un ponte verso la terapia”, spiega Luca Francini, fisioterapista esperto del tema, già docente al master in Terapia manuale dell'Università di Genova e segretario nazionale della Federazione nazionale degli ordini dei fisioterapisti (Fnofi). Nel caso in cui il fisioterapista abbia il sospetto di problematiche che non sono di sua pertinenza, rinvierà il paziente allo specialista di riferimento più adatto.
I sintomi del mal di collo
Aspetto fondamentale nel riconoscere la presenza di cervicalgia aspecifica è la localizzazione del dolore, di solito individuato dal paziente in corrispondenza della regione del collo, con la possibilità di riscontrare dolore riferito alla testa e la possibile presenza di vertigini, dizziness (senso di sbandamento) e nausea. “L’eventuale presenza di dolore irradiato all’arto superiore apre la porta al possibile interessamento di una struttura nervosa, dando origine a quanto viene normalmente definito come cervicobrachialgia, che rappresenta però un quadro clinico a parte” continua Francini.
L’incidenza del ‘neck pain’
La cervicalgia è, attualmente, la quarta causa di disabilità al mondo e colpisce principalmente la popolazione femminile, raggiungendo il picco di prevalenza nella fascia 70 -74 anni per poi decrescere (Cfr. Safiri 2020). Tra le varie categorie professionali i più colpiti risultano essere coloro che svolgono una attività di ufficio, ripetitiva e sedentaria. “Le cause del male al collo possono essere individuate in problematiche specifiche, quali, tra le più comuni: tumori, fratture, infezioni, problematiche vascolari o infiammatori, mielopatie cervicali, meningiti, ecc – aggiunge il professionista sanitario -. Tutte condizioni non di pertinenza fisioterapica che, quando sospettate, devono portare ad un rinvio allo specialista di riferimento. Fortunatamente, queste cause rappresentano una minoranza dei casi”.
Le tipologie di cervicalgia
La maggior parte delle cervicalgie sono di tipo aspecifico, riconducibili ad una insorgenza multifattoriale, ovvero non ad una singola problematica particolare, bensì come risultato di una sommatoria di elementi. “Ad esempio fattori psicosociali, genetici, socio culturali, meccanismi neurobiologici ed altri fattori, nessuno dei quali risulta singolarmente prevalente sugli altri e tutti, quindi, ugualmente da ricercare nel corso della valutazione di un paziente con cervicalgia, sia tramite la raccolta anamnestica, necessaria per formulare le ipotesi diagnostiche fisioterapiche del caso, sia con l’esame obiettivo fondamentale per definire la diagnosi fisioterapica”, dice Francini.
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Cosa può fare il fisioterapista
Proprio perché i quadri di cervicalgia aspecifica non sono riconducibili a problematiche definite, le più recenti evidenze scientifiche suggeriscono come sia più utile, una volta esclusa la presenza di red flags, inquadrare e classificare la persona colpita da cervicalgia sulla base di sottoclassificazioni definite in base ai disturbi, o meccanismi, prevalenti. “Individuati in questo modo quelli che sono gli ‘effetti’ della cervicalgia nel paziente, il fisioterapista può tarare al meglio il suo piano di trattamento - evidenzia Francini -. I dati presenti in letteratura circa il decorso della cervicalgia mettono in evidenza un iniziale andamento naturale favorevole, con un calo importante del dolore nelle prime 3-6 settimane, tempistica che si allunga a due mesi quando si parla di impiegati d’ufficio. Dopo questo primo periodo il miglioramento tende a stabilizzarsi in circa il 50% dei soggetti”.
Gli esercizi consigliati
Da quanto emerge in letteratura non risulta ci siano esercizi più efficaci di altri, né è stata individuata una posologia ‘ideale’. “Sicuramente l’esercizio, oltre ad essere una modalità di trattamento solitamente sicura, ha comunque benefici che vanno a coinvolgere l’intero organismo ed è per questo che rientra tra le strategie maggiormente consigliate ed efficaci. È quindi utile che nel proprio studio il fisioterapista mostri al paziente quegli esercizi che, scelti anche sulla base delle preferenze del paziente, lo stesso possa poi eseguire correttamente a casa e sul luogo di lavoro”, aggiunge il fisioterapista. Ci sono limitate evidenze circa l’efficacia di esercizi di rinforzo per la muscolatura del collo e delle spalle, così come l’effetto positivo del ricorso a momenti di pausa durante l’attività lavorativa in ufficio. “Le migliori evidenze riconoscono al trattamento multimodale, ovvero - conclude Francini - quello che mette insieme più esercizi, tecniche di terapia manuale e strategie di educazione”.