Responsabilità medica: respinta la domanda e 40 mila euro di rimborso spese legali per il medico vittorioso

Responsabilità medica: il giudice respinge la richiesta di risarcimento e la domanda di manleva proposta nei confronti del sanitario strutturato e condanna struttura ed eredi del paziente al rimborso complessivo di euro 40 mila euro per spese legali sostenute.

Sommario

  1. Il caso
  2. La condotta processuale dell’azienda sanitaria pubblica e degli eredi
  3. La decisione del Tribunale
  4. La regolazione delle spese di giudizio
  5. Perdere può costare caro, anche quando si vince

Decine di società di consulenza, studi legali ed associazioni che, sul web, propongono consulenze giuridiche e medico legali gratuite per esaminare qualsiasi caso di presunta malpratice sanitaria garantendo al cliente che, in caso di formalizzazione dell’incarico per la richiesta risarcitoria, non dovrà sostenere alcun costo anticipato, bensì provvederà al pagamento dei compensi soltanto in caso di vittoria.

C’è un aspetto che, però, non viene altrettanto reclamizzato ma che, come vedremo nel prosieguo di questo contributo, può assumere un certo peso per le tasche dei potenziali danneggiati, soprattutto oggi che la disciplina della compensazione delle spese di lite nei giudizi civili è diventata l’eccezione rispetto alla regola per cui “chi perde paga”.

Esempio classico di questa situazione, certamente non rara nei nostri tribunali, è quello desumibile da una recente sentenza (Trib. Civ. Roma n. 12519 del 22/07/2024) che ha visto protagonista un medico, assistito dal network di Consulcesi & Partners, che dopo qualche anno di dura battaglia giudiziale, non soltanto ha visto affermata la propria innocenza rispetto alla domanda risarcitoria spiegata nei suoi confronti dagli eredi di una paziente, ma ha ottenuto quasi 40 mila euro di rimborso spese complessive.

Il caso

La vicenda prende le mosse dall’iniziativa giudiziale promossa da alcuni eredi nei confronti di un ospedale pubblico romano per l’improvvisa perdita del loro congiunto che, ricoverato per forti dolori addominali, veniva sottoposto ad alcune indagini diagnostiche che si protraevano per diverso tempo, fino alla decisione di procedere con un intervento programmato di CPRE per trattare la riscontrata calcolosi coledocica.

Iniziata la prevista operazione, veniva presto sospesa per il riscontro di un diverticolo, con conseguente tac d’urgenza all’esito della quale il paziente veniva trasferito al reparto di chirurgia per la rilevata presenza di perforazione intestinale, che rendeva necessario un intervento di “laparoscopia esplorativa/raffia duodenale/resezione eventuale conversione laparotomia” eseguito il giorno successivo.

Dopo quest’ultimo intervento, lo stesso paziente veniva quindi trasferito presso altro nosocomio dove, all’esito di una TC addome, veniva sottoposto ad un altro intervento a carattere d’urgenza, con successivo ricovero in terapia intensiva ove, a seguito del progressivo peggioramento delle condizioni fisiche, giungeva al decesso per insufficienza poliorganica.

Gli stretti congiunti, con riferimento all’aspetto risarcitorio, convenivano così in giudizio l’ospedale dove era avvenuto il primo ricovero, richiedendo complessivamente il risarcimento di tutti i danni non patrimoniali, quantificati in circa mezzo milione di euro.

La condotta processuale dell’azienda sanitaria pubblica e degli eredi

Il nosocomio pubblico si è quindi costituito nel processo, contestando in via principale ogni pretesa risarcitoria svolta nei suoi confronti, ritenendo corretto l’operato dei suoi dipendenti salvo esercitare, in via subordinata, sia l’azione di manleva nei confronti del proprio istituto assicurativo che, per quel che più rileva ai nostri fini, di rivalsa o di condanna diretta nei riguardi degli stessi sanitari strutturati, qualora venissero accertate responsabilità per quanto avvenuto durante il primo ricovero del paziente, poi deceduto.

Tirati in ballo anche i medici dipendenti, gli stessi si sono costituiti nel processo negando, ciascuno per quanto di propria competenza, ogni profilo di responsabilità a loro carico, ed invocando in ogni caso le coperture previste dalle rispettive polizze personali nella denegata ipotesi di condanna.

A questo punto, usufruendo del termine appositamente previsto dalle norme di rito, gli attori estendevano la loro iniziale domanda rivolta all’azienda sanitaria, anche nei confronti degli stessi medici chiamati in causa, chiedendo l’accertamento delle loro specifiche responsabilità, con relativa condanna in solido con la stessa struttura al risarcimento di tutti i danni patiti per la perdita del loro congiunto.

Raccolte le prove presentate dalle parti e completata la fase istruttoria con l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, la causa è quindi giunta nella sua fase finale.

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La decisione del Tribunale

La complessa istruttoria si è quindi conclusa con una articolata decisione che, di fatto, ha correttamente delineato tutti i singoli aspetti, anche processuali, della vicenda andando a distinguere le singole posizioni dei soggetti coinvolti nel giudizio, con conseguenze diverse sia in termini di accertamento delle responsabilità che di successiva condanna al pagamento delle spese del processo.

Raccolte le considerazioni espresse dal CTU, è quindi emerso, con specifico riferimento alla condotta dei medici dipendenti della struttura che aveva avuto in cura il paziente nel primo ricovero, l’assenza  di colpe professionali per entrambi, sia perché la lesione occorsa in sede di CPRE è stata considerata una complicanza prevedibile e non evitabile, sia perché l’operatore ha messo in atto con immediatezza tutte le cautele sufficienti e necessarie per ovviare tempestivamente alle conseguenze.

Allo stesso modo, la refertazione radiologica eseguita dall’altro medico strutturato, anch’egli parimenti coinvolto al pari del primo, aveva correttamente evidenziato l’esistenza di una dilatazione della via biliare, sostenendo la giusta indicazione alla CPRE, poi eseguita.

Da ciò, si è quindi dedotto che il decesso, poi avvenuto presso altra struttura sanitaria, fosse quindi riferibile, secondo il principio causale “del più probabile che non”, al ritardo con cui veniva praticato il l’intervento di riparazione della lesione del duodeno che, anziché essere effettuato a poche ore di distanza secondo i protocolli e le linee guida dell’epoca, veniva eseguito oltre le 24 ore dalla riscontrata lesione.

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La regolazione delle spese di giudizio

Accolta pertanto la domanda degli eredi nei riguardi del nosocomio pubblico, ma respinte quelle svolte, dalla stessa azienda e successivamente dagli attori, nei confronti dei sanitari dipendenti, il giudice capitolino ha quindi applicato correttamente i principi che presiedono il regime della soccombenza processuale, condannando sia l’azienda che gli stessi congiunti al pagamento delle spese di giudizio da quest’ultimi sostenute.

Vittoriosi rispetto all’azienda, ma perdenti per quanto concerne la domanda estesa ai medici convenuti in giudizio, gli attori sono stati quindi condannati al pagamento di ben 13.000,00, per ciascun sanitario, a titolo di spese di lite, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali nella misura del 15%.

Allo stesso modo anche l’azienda, rimasta soccombente rispetto alla chiamata in causa dei suoi dipendenti, è stata altresì condannata al pagamento, in favore di quest’ultimi, dell’ulteriore importo di euro 13.000,00 cadauno, oltre IVA, CAP e rimborso spese generali al 15%.

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Perdere può costare caro, anche quando si vince

L’applicazione corretta dei principi della soccombenza processuali, che ormai limita notevolmente la possibilità di uscire indenni da una pronuncia di rigetto dell’azione proposta nei confronti di chicchessia nel processo, nonché il ricorso coerente agli scaglioni per valore previsti dal tariffario forense, possono quindi produrre conseguenze davvero spiacevoli, anche per coloro che, vittoriosi su un fronte, risultino altresì perdenti su un altro.

Sia gli attori che il nosocomio pubblico dovranno dunque corrispondere, ciascuno nei limiti delle proprie pretese azionate, quasi 40 mila euro a favore di ogni medico, di cui è stata esclusa la responsabilità per quanto avvenuto, che vanno così a pesare (e non poco) sugli effetti economici, favorevoli e non, della decisione finale.

 

 

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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