Le indennità variabili vanno ricomprese nella retribuzione delle ferie, interviene la Corte di Cassazione

Anche durante le ferie la retribuzione deve includere e non può decurtare le indennità variabili legate alla professione. La Corte di Cassazione torna sul tema per tutelare il diritto al riposo: vediamo cosa è successo.

La Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta, con l’ordinanza n. 2674/2024, sulla questione del mancato riconoscimento da parte del datore di lavoro di alcune indennità a favore di un dipendente turnista, recependo integralmente l’opinione avallata dalla Corte di Giustizia Europea che, sul tema, ha stabilito principi a cui gli organi giudiziari degli Stati membri debbono sempre attenersi.

La direttiva 2003/88/UE, che si pone come pietra miliare di numerose tutele a favore del lavoratore, risulta pure in questo caso decisiva per la risoluzione della questione, fornendo un importante contributo alle ragioni di quei lavoratori che, come gli esercenti la professione sanitaria, vedono la propria retribuzione variamente articolata, anche in considerazione di alcune prestazioni effettivamente svolte nel corso del rapporto lavorativo.

L’oggetto del contendere fra lavoratori ed aziende riguarda, per l’appunto, il riconoscimento delle cd. indennità variabili durante il godimento del periodo di ferie annuali retribuite, che talvolta vengono negate sul presupposto che si tratterebbe di emolumenti legati all’effettivo svolgimento della prestazione presupposta.

Ma così non è e vediamo il perché.

La nozione europea di retribuzione

Prendendo spunto dalle poche, ma densamente significative, righe che compongono l’art. 7 della richiamata direttiva comunitaria, si può declinare la definizione di retribuzione valida per tutti gli Stati membri, all’interno della quale devono essere ricompresi tutti i riconoscimenti economici che si pongono in relazione con il contenuto delle prestazioni svolte normalmente dal lavoratore e correlate al suo status personale e professionale.

La definizione che precede risente, a ben vedere, del lavorio interpretativo svolto dalla Corte di Giustizia Europea che, a partire da alcuni pronunciamenti (sentenze 20/1/2009 C-350/06 e C- 520/06; sentenza 13/12/2018, C-155/10; sentenza 13/12/2018 C-385/17), ha progressivamente garantito che al lavoratore fosse riconosciuta, durante il godimento del periodo di ferie annuali, una situazione retributiva sostanzialmente sovrapponibile, e quindi compatibile, con quella goduta durante lo svolgimento della prestazione lavorativa.

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È vero che gli Stati membri mantengono il potere di definire le condizioni di esercizio e di attuazione del diritto alle ferie annuali retribuite, ma ciò deve sempre avvenire nel rispetto dei principi dettati dalla richiamata direttiva, non potendo pertanto introdurre disposizioni che portino a subordinare l’esercizio del diritto a condizioni di qualsiasi natura.

Questo anche perché il diritto alle ferie annuali retribuite è considerato principio costitutivo del diritto sociale dell’Unione, tanto da venir declinato dall’art. 31, paragrafo 2, della Carta, cui l’articolo 6, paragrafo 1, TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei trattati (sentenza 25/06/2000 C‑762/18 e C‑37/19).

Il computo della retribuzione durante le ferie

Poste tali premesse, la Corte di Giustizia Europea è andata quindi affermando che il mantenimento del livello di retribuzione ordinaria, durante il periodo di ferie annuali retribuite, viene posto proprio a tutela del fatto che il lavoratore sia davvero incentivato a prendere i giorni di ferie cui ha diritto.

Sotto un profilo squisitamente economico, questo significa che quando la retribuzione versata a titolo del diritto alle ferie annuali retribuite, sancito dall’articolo 7 della direttiva 2003/88, risulti inferiore alla retribuzione ordinaria ricevuta dal lavoratore durante i periodi di lavoro effettivo, quest’ultimo potrebbe essere indotto a non godere dei giorni di ferie annuali retribuite, perlomeno durante quei periodi di lavoro effettivo, poiché ciò determinerebbe, durante questi periodi, una diminuzione della sua retribuzione (sentenza 13/12/2018 C‑385/17).

La stessa Corte, in un suo importante arresto (sentenza del 15/09/2011 C-155/10) ha dunque osservato che “qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all’esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore (…) deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell’ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali”, mentre di contro posso essere esclusi da questo computo “gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell’espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro”.

Ne consegue allora come qualsiasi situazione che si ponga in contrasto con il raggiungimento dell’obbiettivo di politica sociale prefissato dall’Unione, non potrà trovare applicazione nel nostro ordinamento interno, anche in ragione del fatto che le pronunce della Corte di Giustizia Europea hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sul diritto degli stati membri.

Il consolidato orientamento della Corte di Cassazione

Di recente, come abbiamo detto, la Sezione Lavoro ha affermato, nell’ordinanza n. 2674/24, che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale, sin dalla sentenza Robinson Steele del 2006, ha precisato che con l’espressione “ferie annuali retribuite” contenuta nell’art. 7, nr. 1, della direttiva nr. 88 del 2003 si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, “deve essere mantenuta” la retribuzione; dunque, il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria.

Intendendo quindi equiparare lo stato di lavoro effettivo con la situazione esistente in caso di godimento del periodo feriale, si è quindi ribadito come qualsiasi situazione che possa incidere sulla decisione del dipendente di accedere alle ferie è incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo.

Questi principi sono stati ulteriormente difesi dalla stessa Corte di Cassazione che, soltanto pochi giorni fa, ha ripetuto che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE deve ricomprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (da ultimo, Cass. n. 13321/24).

Da ciò ne consegue che persino le indennità generalmente maturate dal lavoratore nel corso del rapporto lavorativo, siccome connesse anche con lo status professionale del dipendente, dovranno essere sempre retribuite a prescindere dal fatto che, siccome in ferie, non sia stata eseguita la prestazione sottostante, trattandosi di due aspetti del tutto svincolati fra loro.

La diffida per il pagamento delle voci non riconosciute

Sarà quindi consigliabile che, per il tramite di un professionista specializzato nel settore, venga fatta una accurata quanto approfondita verifica delle buste paga ricevute durante i periodi di lavoro non lavorati per ferie, ponendole a confronto con quelle relative al tempo effettivamente lavorato, per verificare eventuali discordanze rispetto a voci che, invece, avrebbero dovuto essere riconosciute e conseguentemente liquidate; valutando così la possibilità di procedere all’invio di una diffida al proprio datore di lavoro per richiedere le differenze retribuite maturate, tenuto conto del limite prescrizionale quinquennale a far data dal momento in cui la voce non esposta avrebbe potuto essere richiesta.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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