Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha istituito una commissione che lavori alla riduzione dei contenziosi per responsabilità medica. Non la depenalizzazione dei reati, come in un primo momento annunciato dal Ministro della Salute Orazio Schillaci, piuttosto una media res che consenta al medico di lavorare in serenità e di non considerare il paziente come una zavorra o un nemico a cui fare attenzione. In tal modo – questa è l’intenzione del Governo – la sicurezza del paziente sarà egualmente salvaguardata e si andrà incontro a una maggiore economicità dei giudizi.
Tra gli altri obiettivi, quello di ridurre la cosiddetta “medicina difensiva” che del paziente ne fa la prima vittima del sistema.
La Commissione
La commissione scelta è composta da esperti di medicina e di diritto penale ed è presieduta da Adelchi d’Ippolito, ex procuratore aggiunto a Venezia con delega all’antiterrorismo, già in pensione. Da adesso, la Commissione si è data un anno di tempo per analizzare le leggi attuali e studiare proposte di modifica da presentare al Parlamento.
Una possibile soluzione già individuata da d’Ippolito potrebbe essere l’introduzione di provvedimenti contro le persone che presentano denunce temerarie, col solo intento speculativo di ottenere risarcimenti anche quando non c’è stato un errore medico. Secondo il presidente della commissione non è soltanto necessario mettere i tribunali nelle condizioni di archiviare le denunce temerarie in tempi rapidi, ma anche di condannare chi le presenta.
L’orientamento europeo per contrastare il fenomeno
Il problema ha spinto gli organismi europei a raccomodare agli Stati membri di adottare misure idonee a contenere il fenomeno. Infatti, già il 15 dicembre 2008 l’Unione europea aveva presentato una relazione al Parlamento e al Consiglio e una proposta di raccomandazione sul tema. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, come ricordato dall’Osservatorio Nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, è intervenuta ribadendo che dall’articolo 2 della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) discende l’obbligo degli Stati membri di attuare un quadro regolamentare che imponga agli ospedali, sia pubblici che privati, l’adozione di misure adeguate per assicurare la protezione della salute e la vita dei loro pazienti e sistemi che permettano di accertare le cause dei decessi o di danni gravi.I numeri da contrastare
L’istituto di ricerca Demoskopika, che ogni anno pubblica un’indagine sul sistema sanitario italiano, ha stimato che nel 2019 le spese legali per liti, contenziosi o sentenze sfavorevoli sostenute dal sistema sanitario italiano ammontavano a 203,5 milioni di euro, circa 560mila euro al giorno, con un aumento del 6,9 per cento rispetto al 2018. Le spese legali più alte sono state pagate dalle strutture sanitarie del Sud, 128,1 milioni di euro, mentre al Centro sono stati pagati 45,7 milioni di euro. Al Nord 29,7 milioni di euro. Questo, a riprova del fatto che tutti i provvedimenti degli ultimi anni non sono serviti a questo scopo. L’ultima modifica si è registrata con la Legge Gelli-Bianco del 2017, che ha modificato la Legge Balduzzi.La medicina difensiva: cause e conseguenze
La medicina difensiva sembra essere la causa dell’allungamento delle liste d’attesa ed è causa di maggior dispendio economico da parte del nostro sistema sanitario. Le azioni a contrasto sono, dunque, l’obiettivo prioritario. Un sondaggio governativo ha dimostrato che su un campione di 1.500 medici ospedalieri realizzato nel 2014 dall’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, il 58 per cento ha ammesso di praticare medicina difensiva. Il 64 ha dichiarato che la medicina difensiva ha ridotto il rischio di errore e il 69 per cento considerava la medicina difensiva un fattore limitante della professione, mentre quasi tutti (il 93 per cento) avevano previsto un aumento del ricorso alla medicina difensiva. Esami e visite dovute all’eccessiva premura dei medici, inoltre, costituirebbero il 10 per cento della spesa sanitaria complessiva, circa 10 miliardi di euro ogni anno con conseguente allungamento delle liste d’attesa.Le linee guida in rapporto alla medicina difensiva: cosa dicono i giudici
È recentissima una pronuncia da parte della Corte di Cassazione (Cass. pen., Sez. III, Sent.,06/02/2023, n. 490) che ha acceso il dibattito relativo alla medicina difensiva in rapporto alle Linee Guida.
Prendendo ad esempio le guidelines statunitensi e confrontandole con le italiane, il dubbio sorge sempre relativamente alle loro finalità. C’è chi ha evidenziato che il loro scopo principale sarebbe appunto quello di economizzare la spesa sanitaria corrente. Esse, oltretutto, così intese – come mezzo per i giudici - incoraggerebbero la medicina difensiva e avrebbero un effetto deresponsabilizzante nei confronti degli operatori sanitari, i quali potrebbero astenersi dall’adottare accorgimenti non consigliati dalle linee guida, la cui inosservanza sarebbe però suscettibile di accertamento giurisdizionale. Se finalizzate al miglior interesse del paziente, le linee guida hanno il pregio di ridurre, in linea teorica, i margini di errore clinico, di uniformare le prassi mediche consentendo l’aggiornamento costante del sapere scientifico e di rinsaldare l’alleanza terapeutica tra medico e paziente. Il dissidio tra teoria e pratica è però evidente. Le linee Guida sono infatti intrinsecamente limitate negli ambiti e nei metodi, perché codificare la condotta ideale del medico è attività utopistica e sempre insoddisfacente.