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Violenza ostetrica: una realtà in crescita? Cosa dice la legge italiana

Secondo le associazioni di categoria il fenomeno della violenza ostetrica sarebbe sempre più diffuso: ma secondo la normativa sulla responsabilità medica, è punibile o no?

Quando una donna subisce, da parte del personale sanitario, atti medici arbitrari o lesivi della sua capacità di autodeterminazione oppure degli atteggiamenti di abuso o irrispettosi durante il travaglio, il parto o l'erogazione di prestazioni sanitarie legate alla sfera sessuale o riproduttiva, si parla, in gergo tecnico, di violenza ostetrica.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità le donne di tutto il mondo, sia nel corso della gravidanza che durante il parto in ospedale, fanno esperienza di trattamenti che vanno a minare il rapporto fiduciario con il personale sanitario che fornisce assistenza alla maternità, in quanto irrispettosi, negligenti o abusanti, come ad esempio:

  • abusi fisici diretti,
  • umiliazioni, abusi verbali,
  • procedure mediche senza consenso (inclusa la sterilizzazione),
  • mancanza di riservatezza,
  • carenza di consenso informato,
  • rifiuto di offrire un'adeguata terapia per il dolore,
  • violazioni della privacy,
  • rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere,
  • trascuratezza nell'assistenza al parto, da cui derivano complicanze altrimenti evitabili,
  • detenzione delle donne e dei loro piccoli dopo la nascita a causa dell'impossibilità di pagare le cure.

Nel mondo gli abusi riguardano soprattutto adolescenti, donne non coniugate o appartenenti a minoranze etniche o in condizioni socio-economiche svantaggiate o affette dal virus dell'HIV.

In Italia si è parlato per la prima volta di violenza ostetrica tramite l'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica (OVO) Italia, grazie alla campagna “Basta tacere: le madri hanno voce”, che ha consentito a molte donne di raccontare le esperienze di abuso subite durante il parto da chi non avrebbe dovuto commetterle.

Secondo la campagna “La donna e il Parto”, condotta proprio da OVO Italia unitamente ad altre associazioni mediante interviste su un campione di circa 400 donne con almeno un figlio di età compresa tra 0 e 14 anni, il 41% delle intervistate ha dichiarato di avere ricevuto lesioni della propria dignità e integrità psicofisica durante il parto, e il 21% ha dichiarato di avere subito maltrattamenti fisici o verbali e altri trattamenti inappropriati o offensivi della propria dignità di donna durante il parto.

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La violenza ostetrica: violenza di genere o violenza sanitaria?

Il fenomeno della violenza ostetrica, sotto il profilo della vittima, è sicuramente assimilabile alla violenza di genere. Solo la donna, infatti, può rimanere incinta e partorire, divenendo potenziale vittima dei tipici comportamenti di violenza ostetrica che si possono verificare, ad esempio, in sala parto:

  • mancata convocazione del ginecologo o dell'anestesista da parte del personale ostetrico,
  • omissione di informazioni sulla salute del piccolo nascituro,
  • commenti tesi a ridicolizzare la partoriente, a insultarla o disprezzarla, con riferimenti espliciti all'attività sessuale o alla sua incapacità di gestire il parto e sopportare il dolore.

Tuttavia, sotto il profilo del soggetto attivo della condotta di violenza ostetrica, il fenomeno è riconducibile anche alla violenza sanitaria, in quanto le condotte possono essere compiute solo da determinati soggetti:

  • medici specializzati o specializzandi in ostetricia e ginecologia,
  • anestesisti, medici d'urgenza,
  • infermieri,
  • puericultori,
  • responsabili dei consultori, volontari delle strutture pubbliche/private operanti nei reparti di ostetricia e ginecologia.

Senza scendere troppo nei particolari – che richiederebbero uno studio a parte e che, per motivi di spazio non possono trovar posto in questa sede – alla luce di quanto sopra possiamo dire che la violenza ostetrica è un fenomeno che ingloba, per le sue caratteristiche, elementi di violenza di genere e sanitaria allo stesso tempo.

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Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità le donne di tutto il mondo, sia nel corso della gravidanza che durante il parto in ospedale, fanno esperienza di trattamenti che vanno a minare il rapporto fiduciario con il personale sanitario che fornisce assistenza alla maternità, in quanto irrispettosi, negligenti o abusanti, come ad esempio:

  • abusi fisici diretti,
  • umiliazioni, abusi verbali,
  • procedure mediche senza consenso (inclusa la sterilizzazione),
  • mancanza di riservatezza,
  • carenza di consenso informato,
  • rifiuto di offrire un'adeguata terapia per il dolore,
  • violazioni della privacy,
  • rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere,
  • trascuratezza nell'assistenza al parto, da cui derivano complicanze altrimenti evitabili,
  • detenzione delle donne e dei loro piccoli dopo la nascita a causa dell'impossibilità di pagare le cure.

Nel mondo gli abusi riguardano soprattutto adolescenti, donne non coniugate o appartenenti a minoranze etniche o in condizioni socio-economiche svantaggiate o affette dal virus dell'HIV.

In Italia si è parlato per la prima volta di violenza ostetrica tramite l'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica (OVO) Italia, grazie alla campagna “Basta tacere: le madri hanno voce”, che ha consentito a molte donne di raccontare le esperienze di abuso subite durante il parto da chi non avrebbe dovuto commetterle.

Secondo la campagna “La donna e il Parto”, condotta proprio da OVO Italia unitamente ad altre associazioni mediante interviste su un campione di circa 400 donne con almeno un figlio di età compresa tra 0 e 14 anni, il 41% delle intervistate ha dichiarato di avere ricevuto lesioni della propria dignità e integrità psicofisica durante il parto, e il 21% ha dichiarato di avere subito maltrattamenti fisici o verbali e altri trattamenti inappropriati o offensivi della propria dignità di donna durante il parto.

Di: Manuela Calautti, avvocato

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