Responsabilità professionale psicologo: quali sono i rischi principali del mestiere

Tra le professioni sanitarie, quella dello psicologo è particolarmente rischiosa dal punto di vista della responsabilità professionale perché connessa al benessere mentale del paziente: scopriamo i principali rischi della professione.

Sommario

  1. La responsabilità sociale dello psicologo: etica e limiti dell’influenza professionale
  2. Quali sono i doveri dello psicologo
  3. I rischi della professione di psicologo: la responsabilità professionale

Lo psicologo è un professionista che opera per conoscere, migliorare e tutelare il benessere psicologico e la salute nelle persone, nelle famiglie, nelle comunità, occupandosi della salute mentale e psicologica dei propri pazienti.  

Al fine di perseguire tale finalità, lo psicologo ha il dovere di accrescere le proprie conoscenze sul comportamento umano, operando per migliorare la capacità delle persone di comprendere sé stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace.  

La responsabilità sociale dello psicologo: etica e limiti dell’influenza professionale

Lo psicologo è consapevole del fatto che dall'esercizio della sua professione deriva una vera e propria responsabili sociale, in quanto egli è in grado di intervenire in maniera significativa nella vita degli altri; per questo motivo il codice deontologico gli impone di prestare particolare attenzione a fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, evitando l'uso inappropriato della propria influenza e della propria fiducia, scongiurando eventuali situazioni di dipendenza dei pazienti/utenti destinatari della sua prestazione professionale. 

Lo psicologo ha il dovere di:  

  • rispettare la dignità del proprio paziente,  
  • garantire il diritto alla riservatezza dei pazienti,  
  • garantire l'autodeterminazione e l'autonomia dei suoi pazienti,  
  • rispettare opinioni e credenze dei pazienti,  
  • astenendosi dall'imporre un proprio sistema di valori,  
  • non operare discriminazioni in base alla religione, alla nazionalità, all'estrazione sociale, allo stato socio-economico, al sesso o all'orientamento sessuale, alla disabilità, 
  • mantenere un adeguato livello di preparazione professionale, aggiornandosi nella disciplina specifica in cui opera,  
  • informare adeguatamente i suoi pazienti, ottenendo da loro il previo consenso informato al trattamento sanitario, garantendo ai pazienti la piena libertà di concedere, rifiutare o ritirare il consenso,  
  • rispettare – come ogni altro professionista sanitario – e garantire il segreto professionale, gravando su di lui il divieto di rivelare notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del rapporto professionale ovvero circa prestazioni già effettuate o programmate, salvo i casi in cui ricorra l'obbligo di referto o l'obbligo di denuncia. 

I rischi della professione di psicologo: la responsabilità professionale

La responsabilità dello psicologo, per quel che concerne il profilo deontologico, è chiaramente descritta dall'articolo 28 del Codice di categoria, che impone allo psicologo di: 

evitare commistioni tra il suo ruolo professionale e la vita privata, 

  • non effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, specie se di natura affettivo-sentimentale o sessuale, 
  • non instaurare tali relazioni nel corso del rapporto professionale,
  • non conseguire vantaggi indebiti diretti o indiretti, di carattere patrimoniale o non patrimoniale – salvo il compenso pattuito – da parte dei pazienti in ragione del rapporto professionale,
  • non sfruttare la propria posizione professionale nei confronti dei colleghi in supervisione e dei tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale. 

L'attività dello psicologo, se non si attiene al codice deontologico e a eventuali linee guida esistenti, è facilmente a rischio di denuncia da parte dei pazienti o dei loro familiari, poiché si tratta di un'attività finalizzata a perseguire la salute mentale del paziente, non pienamente tangibile. È facile, ad esempio, che i parenti denuncino uno psicologo perché il paziente che lo aveva in cura si è suicidato oppure per aver tentato di plagiarlo esercitando su di lui la propria “influenza” mentale. 

Per questo motivo lo psicologo deve essere a conoscenza di come viene regolata la responsabilità professionale e sapere che la sua responsabilità, in quanto medico, dal punto di vista civile (per un eventuale risarcimento del danno) è di natura extracontrattuale: ciò significa che in un eventuale processo per risarcimento dei danni da responsabilità dello psicologo sarà il paziente a dover dimostrare che il danno subito (ad esempio lo sperpero dei soldi a causa dei consigli dello psicologo) sia una diretta conseguenza della condotta del professionista sanitario. 

Ciò significa che se un paziente (o suoi parenti) citano in giudizio, in sede civile, uno psicologo per ottenere il risarcimento del danno cagionato da un presunto errore medico, dovranno fornire le prove di quel che dicono. La responsabilità del medico, secondo la legge Gelli Bianco, è infatti di natura extracontrattuale e l'onere della prova di dimostrare che il danno si sia verificato e che sia una diretta conseguenza della condotta dello psicologo grava su di lui.

Sotto il profilo penale, lo psicologo potrà essere chiamato a rispondere della morte o delle lesioni che un suo paziente abbia subito in conseguenza dell'esercizio della sua professione solo nel caso di colpa, ai sensi dell'art. 590 sexies del codice penale, rischiando una pena che, nel massimo, può arrivare a cinque anni; tuttavia, nel caso in cui la morte o le lesioni siano derivate da imperizia del medico e quest'ultimo abbia comunque rispettato le linee guida o – in mancanza – le buone pratiche clinico-assistenziali, opererà la scriminante che esclude la responsabilità penale del sanitario. 

Oltre al rischio da richiesta risarcitoria da malpractice, lo psicologo deve infine prestare molta attenzione agli aspetti legali al segreto professionale: la delicatezza dell'attività dello psicologo, infatti, spesso lo pone di fronte al dilemma se poter rivelare o meno fatti appresi durante la prestazione professionale. 

Naturalmente, anche per lo psicologo vige il principio per cui è fatto assoluto divieto di rivelare notizie, fatti, informazioni apprese in ragione del rapporto professionale ovvero circa prestazioni professionali effettuate o programmate. 

Il segreto professionale è derogabile solo in presenza del consenso del paziente, che deve essere valido e dimostrabile, perciò informato e per iscritto oppure videoregistrato; in ogni caso lo psicologo che abbia questo consenso deve comunque valutare l'opportunità di farne uso, considerando come interesse primario quello della tutela psicologica del paziente.

Pertanto, lo psicologo dovrà attenersi scrupolosamente al rispetto del segreto professionale qualora venga contattato, ad esempio, da un avvocato o da un CTU per ottenere informazioni sulle condizioni di salute di un suo paziente oppure da un genitore o un parente per avere informazioni sullo stato di salute del figlio maggiorenne e pienamente capace. 

Nel caso di obbligo di denuncia o referto, invece, lo psicologo può rivelare notizie, fatti o informazioni che abbia appreso in ragione della propria professione.

 

Di: Manuela Calautti, avvocato

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