La signora A., 70 anni, viene sottoposta a un intervento chirurgico di artroprotesi totale di anca non cementata presso l’Ospedale di B; l’intervento riesce perfettamente, e al momento delle dimissioni i sanitari dell’Ospedale di B. le prescrivono 30 sedute di fisiokiesiterapia, nonché l’utilizzo del girello deambulatore e del rialzo per il water.
La signora A. prenota presso lo studio Polidiagnostico C. le sedute di fisioterapia così come prescritte, chiedendo che le stesse vengano erogate in prestazione domiciliare.
Il ciclo di fisioterapia domiciliare viene affidato dallo studio Polidiagnostico C. alla fisioterapista D., che nell’eseguire la terapia omette di seguire le prescrizioni specificate dall’Ospedale B: in particolare, nonostante i sanitari dell’Ospedale B. avessero specificamente indicato che la posizione ortostatica e la deambulazione della paziente dovevano effettuarsi con l’uso di un girello deambulatore, la fisioterapista D., stante l’assenza del girello (che la paziente non si è mai procurata) decise autonomamente di far camminare la paziente senza girello, facendole utilizzare – in sostituzione del girello – una sedia da cucina.
L’utilizzo della sedia da cucina al posto del girello determinava dei movimenti abnormi a carico dell’anca della paziente, che era del tipo non cementata e impiantata su un osso ospite di una donna di 73 anni, con una resistenza nettamente inferiore rispetto all’osso di un paziente di giovane età.
A seguito dell’errata esecuzione della fisioterapia la signora A. riporta una serie di complicanze da cui deriva il prolungamento del periodo di invalidità temporanea totale e parziale; la stessa si rivolge perciò al Tribunale al fine di ottenere il risarcimento del danno cagionatole dal comportamento imprudente e negligente della fisioterapista D., chiamando in giudizio il centro Polidiagnostico C.
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La normativa violata
Il caso della signora A. consente di riepilogare i principi giurisprudenziali in materia di riparto dell’onere della prova tra il paziente danneggiato, il professionista e/o la struttura sanitaria in materia di responsabilità medica.
La responsabilità che il professionista sanitario e la struttura presso cui lo stesso esercita hanno nei confronti del paziente hanno differente natura:
- quella della struttura sanitaria deriva dall’obbligo contrattuale di adempiere personalmente o tramite il personale sanitario alle obbligazioni derivanti dal contratto di assistenza sanitaria (definito anche contratto di spedalità),
- quella del personale sanitario deriva dalla violazione di un obbligo comportamentale fondato sulla buona fede e funzionale a tutelare l’affidamento sorto in capo al paziente in seguito al contatto sociale avuto con il professionista sanitario.
Nell’ambito dei giudizi relativi alla colpa medica l’aspetto fondamentale è rappresentato dall’esatta conoscenza del criterio di riparto dell’onere probatorio tra il paziente e la struttura/il professionista sanitari: trattandosi di una responsabilità per inadempimento di obbligazioni professionali, secondo i principi espressi dalla Corte di Cassazione l’evento che si verifica a seguito di tale tipologia di inadempimento è un cosiddetto evento di danno, in cui il danno è rappresentato dal mancato perseguimento del fine ultimo prefisso dal paziente (la guarigione dalla malattia).
Alla luce di tali principi, quando un paziente agisce in giudizio nei confronti di una struttura sanitaria per vedere accertata la responsabilità contrattuale della stessa a causa dell’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, egli è gravato dall’onere di dimostrare l’esistenza del nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di ulteriori patologie) e l’azione o l’omissione dei sanitari.
Dal canto suo, invece, l’azienda sanitaria ha l’onere di dimostrare che l’esatta esecuzione della prestazione si è verificata per una causa imprevedibile e/o inevitabile; tale onere, tuttavia, sorge solo nel momento in cui il paziente danneggiato è riuscito a provare il nesso causale tra la patologia e la condotta dei professionisti sanitari.
La decisione della Corte di Cassazione
In primo grado la domanda risarcitoria della signora A. nei confronti del Poliambulatorio C. per la condotta tenuta dalla fisioterapista D. è stata pienamente accolta.
Tuttavia, la Corte d’appello ha ribaltato la sentenza di primo grado, ritenendo che sia stata la stessa signora A. a provocarsi gran parte del danno subito, e ciò poiché nonostante i sanitari dell’Ospedale B. le avessero specificamente prescritto, al momento delle dimissioni, di procurarsi il girello deambulatore e il rialzo per il water, dagli atti del processo è emerso con chiarezza che:
a) La paziente A. ha deciso di non procurarsi né il girello né il rialzo per il water,
b) La paziente A., in totale autonomia, ha deciso di deambulare con l’ausilio di una sedia anziché con l’apposito presidio.
La Corte d’appello ha perciò ritenuto che la responsabilità per l’aggravarsi delle condizioni della signora A. fosse da ripartire nel modo seguente:
- 50% in capo alla signora A., che non si è attenuta alle prescrizioni dei medici dell’Ospedale B. e non si è procurata i presidi deambulatori che le era stato specificamente ordinato di utilizzare,
- 50% in capo alla fisioterapista D., che comunque non avrebbe dovuto consentire alla paziente di svolgere gli esercizi relativi alla deambulazione in assenza del girello prescritto dai medici.
La Corte di Cassazione, chiamata a mettere la parola “fine” su questa vicenda, nel richiamare i principi sul riparto dell’onere della prova descritti nel paragrafo precedente, ha ritenuto corretto il giudizio della Corte d’appello sul riparto della responsabilità tra paziente e struttura sanitaria al 50%, proprio sulla base di quanto è emerso dalle prove in giudizio, dichiarando l’inammissibilità del ricorso con condanna della signora A. al pagamento delle spese di giudizio sostenute dalle controparti e al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato (come una specie di multa).