In Italia, per poter esercitare una professione, come ad esempio l’avvocato, il commercialista, il giornalista o il medico, è necessario essere iscritti a un apposito albo o registro, ed aver conseguito l’abilitazione secondo le modalità stabilite dalla legge.
Ogni professione ha il suo iter abilitativo, fatto di tirocini con tempistiche diverse ed esami di abilitazione. Il medico, in passato, per poter esercitare la professione doveva aver conseguito la laurea in medicina e chirurgia e aver sostenuto l’esame di abilitazione.
Dopo il 2020, con l’impatto devastante che il Covid ha avuto sul mondo intero, in Italia è stata emanata un’apposita norma (decreto Cura Italia) che ha accelerato l’iter per diventare medico, eliminando l’esame di stato, facendo diventare così abilitante il semplice titolo di dottore in medicina e chirurgia conseguito dopo il percorso di studi universitario.
In ambito medico, purtroppo, si assiste spesso al fenomeno di “finti” medici o dei “non specialisti” che si spacciano per tali, rischiando di cagionare danni sia al paziente che ai professionisti ignari che lavorano con loro in strutture associate. Lo sa bene il protagonista della vicenda analizzata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n 22779 del 10 giugno 2022.
Il caso di un odontotecnico che esercitava come odontoiatra
Il dottor T. è socio e legale rappresentante di uno studio medico dentistico ove esercitano l’attività numerosi odontoiatri. Tra questi, vi è il dottor C., odontotecnico, il quale più volte, all’interno dello studio medico, ha esercitato anche attività di tipo odontoiatrica, pur non essendo abilitato.
Il direttore sanitario dello studio, il dottor S., nonostante fosse pienamente consapevole del fatto che il dottor C. fosse un semplice odontotecnico e non fosse abilitato all’esercizio della professione di odontoiatra, gli ha consentito di esercitare l’attività di “dentista” pur non potendolo fare.
A seguito di alcune denunce – probabilmente da parte di alcuni pazienti – viene aperta un’inchiesta penale, a conclusione della quale sono sottoposti a processo per esercizio abusivo della professione tutti e tre i medici.
I tre dottori vengono condannati sia in primo che in secondo grado.
Il dottor T., titolare e legale rappresentante dello studio medico, in particolare viene condannato perché avrebbe consentito al dottor C. di esercitare abusivamente la professione di odontoiatra, in concorso con il direttore sanitario dottor S.
La condanna del dottor T. deriva dal fatto che lui, in quanto titolare e legale rappresentante, avrebbe ricoperto nei confronti dei pazienti una posizione “di garanzia”, e non avrebbe perciò dovuto consentire al dottor C., odontotecnico, di effettuare anche prestazioni di tipo odontoiatrico.
Questa testimonianza, di fatto, non prova che il dott. T. sapesse che l’odontotecnico esercitava nel suo studio abusivamente anche attività di odontoiatra, eppure è stata ritenuta decisiva per condannare anche lui, oltre al dottor C. e al dottor S. (consapevole dell’abuso).
La Cassazione, nell’annullare la sentenza impugnata e chiedere alla Corte d’appello di celebrare un nuovo processo nei confronti del dott. T., ha fissato dei paletti ben precisi cui i giudici dovranno attenersi nel giudicarlo, evidenziando che:
- Il titolare di uno studio medico risponde per concorso in esercizio abusivo della professione se consente o agevola lo svolgimento di un’attività professionale non autorizzata da parte di un altro soggetto;
- Il medico abilitato non è obbligato a garantire che un altro soggetto non abilitato eviti di svolgere la professione medica abusivamente, e per poterlo condannare per aver concorso alla commissione di questo reato è necessario che sia stato consapevole e che abbia acconsentito al compimento di attività non autorizzate da parte dell’altro medico.
In parole povere, per tornare al caso in esame, la Cassazione ha voluto dire ai giudici che il dottor T. non può essere condannato semplicemente perché titolare dello studio dentistico, e in quanto tale “non poteva non sapere”, ma devono essere provati due aspetti importanti:
- Che il dottor. T. abbia effettivamente visto il dottor C. svolgere le funzioni di odontoiatra anziché quelle – autorizzate – di odontotecnico;
- Che il dottor T. abbia consentito al dottor C. di svolgere le funzioni abusive.
In assenza di queste prove, il dottor T. dovrà essere assolto.
Analizzando solo ciò che è a nostra disposizione, cioè il contenuto delle testimonianze così come riportato nella sentenza della Corte di Cassazione, è probabile che il giudizio della Corte d’appello nei confronti del dottor T. sarà di tipo assolutorio.
Tuttavia, nulla gli restituirà indietro gli anni di calvario personale e giudiziario che ha dovuto affrontare per discolparsi da un reato che, probabilmente, non ha commesso.