Aggressioni a personale sanitario: dalla legge 113/2020 alle risposte della Cassazione

Dal caso lombardo al principio espresso dalla Corte di Cassazione, in cardine con l’ultima legge a contrasto delle violenze sugli operatori sanitari

 È una recente sentenza della Suprema di Corte di Cassazione a mettere un punto sulla questione “aggressione agli operatori sanitari” e in particolare quella emessa dalla Cass. pen., sez. VI, 5 ottobre 2022, n. 39320. Questa ha condannato a 8 mesi di reclusione, con il beneficio della sospensione della pena, una donna che aveva inseguito, raggiunto e schiaffeggiato un’infermiera, la quale l’aveva invitata a lasciare il reparto perché l’orario di visita era terminato. 

Resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali e interruzione di pubblico servizio sono stati i reati di cui ha dovuto rispondere la donna violenta. 

L’infermiera – incaricata di pubblico servizio – è stata ostacolata durante l’espletamento delle proprie funzioni e questo è bastato a integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale, punibile con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Per la Corte di Cassazione, affinché venga integrata la fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale, non è necessario che sia concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale, ma è “sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell’ufficio o del servizio, indipendentemente dall’esito, positivo o negativo, di tale azione e dell’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento dell’atto del pubblico ufficiale”.

Nel caso specifico, è stato ritenuto che non vi fosse alcun dubbio sul fatto che “la condotta violenta subita dall’infermiera fosse proprio connessa alle funzioni da lei esercitate, tanto da costituire per lei un ostacolo”, ovvero la richiesta di rispetto degli orari del reparto e l’invito ad allontanarsi.

 

 

Qual è l’importante principio stabilito con questa pronuncia?

 

Sia che si aderisca alla tesi per cui l’infermiera è un pubblico ufficiale che a quella – maggioritaria – secondo cui sarebbe un’incaricata di pubblico servizio, in ogni caso l’ostacolo frapposto all’attività da questi svolta integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

La condanna, infatti, è scaturita proprio dal fatto che l’imputata ha aggredito l’operatrice sanitaria, mentre esplicava le funzioni demandate al suo ruolo. È stata registrata, cioè, una stretta connessione tra la condotta violenta e minacciosa e l’attività pubblica svolta dall’infermiera. In altre parole, il reato richiede che sia impedita, intralciata o compromessa, anche solo parzialmente e temporaneamente, la regolarità del compimento dell’atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.  

L’episodio, quasi identico, si è verificato anche in uno dei nosocomi siculi. Da nord a sud, l’atteggiamento nei confronti degli operatori sanitari sembra essere il medesimo.

Una pronuncia molto apprezzata dagli addetti ai lavori 

Uno dei principi importantissimi richiamati dall’OMS e ribaditi tramite questa pronuncia della Corte di Cassazione, sanciti anche dalla Legge 113/2020 è quello secondo il quale:

Nessun Paese, ospedale o clinica può proteggere i propri pazienti a meno che non mantenga i propri operatori sanitari al sicuro.

Proprio per questo, i commenti da parte dei protagonisti del panorama sanità del nostro Paese sono stati molto positivi in merito, con particolare riferimento alla soddisfazione per aver ottenuto una pronuncia completamente allineata con i principi fondanti della Legge 113/2020.

La legge ha contribuito ad aumentare le pene in caso di lesioni agli operatori sanitari e ha consentito l’istituzione di un Osservatorio nazionale sul fenomeno, approvato con decreto del 13 gennaio 2022, e sui dati del fenomeno, fissando la Giornata Nazionale di educazione e prevenzione dei fenomeni di violenza il 12 marzo di ogni anno.

In particolare, dal punto di vista penale, il testo interviene sull’art. 583-quater c.p. per aggravare le pene (per le lesioni gravi, reclusione da 4 a 10 anni, e per le lesioni gravissime, reclusione da 8 a 16 anni):

  • a chiunque cagioni lesioni gravi o gravissime procurate in danno di personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio,
  • ovvero in danno di chiunque svolga attività di cura, assistenza sanitaria o di soccorso, nell’esercizio o a causa di tali attività.

Il testo inserisce, tra le circostanze aggravanti comuni del reato – che comportano un aumento di pena fino a un terzo – l’avere agito, nei delitti commessi con violenza e minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie o socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni ovvero in danno di chiunque svolga attività di cura, assistenza sanitaria o di soccorso, nell’esercizio o a causa di tali attività (art. 5). Proprio come avvenuto nel caso di specie che abbiamo preso ad esempio.

Nel testo si stabilisce anche che i reati di percosse (art. 581 c.p.) e lesioni (art. 582 c.p.) siano procedibili d’ufficio quando ricorre la nuova aggravante (art. 6).

Un fenomeno di portata più ampia: “è come sparare alla Croce Rossa” e sta succedendo davvero

Il ruolo sociale è quello che sta subendo le peggiori conseguenze. Il medico al quale si serviva il caffè fumante e si faceva trovare un’asciugamani pulito in bagno durante una visita a domicilio e al quale si riservavano i migliori manicaretti, a prescindere dal bisogno imminente, sembra ormai lasciare il passo alla considerazione del medico e/o di qualsiasi operatorio sanitario non all’altezza di dr Google.

Si tratta di un fenomeno sociale, giustificato per lo più dal dolore per la sofferenza, la perdita, la malattia del familiare. Uno sconvolgimento emotivo talmente forte che, quasi quasi, “gli spari sulla Croce Rossa” devono essere preventivati. Una realtà pesante per la sanità del nostro Paese che si trova sempre a dover fare i conti con l’ultimo report per monitorare il fenomeno.

In un report pubblicato dalla Sovrintendenza sanitaria centrale in occasione del 12 marzo, Giornata nazionale di prevenzione, dello scorso anno, i risultati dell’indagine sono chiari.

Su 1.144 operatori della sanità che hanno risposto al sondaggio, il 45% era costituito dai medici e il 44% dagli infermieri. Il 40% degli interpellati ha dichiarato di aver subito un’aggressione, con 459 episodi di violenza dichiarati, e il 27% di averne subita più di una. La molestia è stata la tipologia di aggressione maggiormente segnalata (42%), seguita dalla minaccia (35%) e dalle aggressioni verbali (10%). Quanto al luogo di accadimento, il 91% delle aggressioni è avvenuto negli ambulatori e/o nei centri medico-legali. Nel 61% dei casi sono state fatte da parte di assistiti, mentre nel 21% dei casi da parte di familiari. Gli aggressori erano nell’85% dei casi maschi. Nel questionario erano sollecitate anche le reazioni corrispondenti: il 33% dei partecipanti ha risposto di avercela fatta da solo, mentre il 27% ha riferito di aver richiesto aiuto o di essere stato aiutato da un’altra persona. La denuncia di infortunio all’Inail è stata comunicata dal 12% degli operatori, il 4% lo ha fatto alle Forze dell’ordine.

Conclusioni

Si cerca sempre di fare chiarezza in merito alla questione e di infondere coraggio a chi si trova in trincea a dover affrontare carenza di personale, caregiver emotivamente provati, stanchezza e born out, aggressioni e minacce. Tuttavia la Legge 113/2020 rappresenta un buon trampolino di lancio per ottenere maggiore sicurezza, ma ancor prima – come spesso consigliamo – è necessario essere consapevoli del proprio ruolo “collaterale”. Oltre al chirurgo, all’infermiere, all’ortopedico, quale ruolo ricopre un operatore sanitario in società? Quando e perché viene considerato un pubblico ufficiale? Fino a che punto si può spingere il parente di un paziente per ottenere quanto richiesto? È tutto lecito? Quando un operatore sanitario sta subendo una violenza?

Insomma, prima ancora di avere paura per ciò che potrebbe succedere, è essenziale consultare un legale specializzato che possa aprire gli orizzonti e rendere il più possibile consci gli operatori sanitari. 

Di: Redazione Consulcesi Club

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